L’Italia è il Paese delle incompiute o, meglio ancora, delle cose non fatte. In un passato non solo remoto ma anche a noi vicino, si poteva ragionare se valesse la pena oppure no di attuare la Costituzione nella sua parte seconda, là dove essa coniuga l’unità con il pluralismo, nell’intento di salvaguardare i valori che uniscono il popolo italiano con quelli che ne evidenziano le differenze. Ma gli ostacoli frapposti sono stati tanti – alcuni veri altri falsi, alcuni collegati a un’idea condivisibile di solidarietà, altri pensati all’insegna di una idea forte e perniciosa di irresponsabilità – e nel loro insieme hanno provocato le degenerazioni dell’oggi. Appunto, la domanda, da parte di tanti Comuni, di staccarsi da una Regione per unirsi ad un’altra, senza che cultura, tradizione, sistemi di vita, abitudini siano riusciti a materializzare un ostacolo insormontabile. Insormontabili sono apparse, invece, le discriminazioni sul piano delle risorse, per cui, a parità di condizioni, c’è chi ha di più, e magari molto di più, e chi ha di meno, e magari molto di meno.
Il problema non è più né di carattere teorico né differibile, perché in gioco ci sono elementari ragioni di giustizia, e la loro soddisfazione attende che finalmente si concretizzino azioni virtuose: pensate, innanzi tutto, per durare nel tempo, poiché soltanto la stabilità può garantire il ripristino di un equilibrio da troppo tempo spezzato in nome di ragioni di natura politica anche comprensibili, che tuttavia non possono resistere all’usura del cambiamento fino al punto di divenire strumento di ingiustizia. E ingiustizia si dà, quando si riversino risorse maggiori su chi ha minori bisogni o quando si concedano senza preoccuparsi che il loro impiego generi tutela vera dei diritti costituzionalmente previsti e garantiti dalla legge fondamentale.
Così, quella che ieri poteva considerarsi come una questione di attuazione della parte seconda della Costituzione, che ha ad oggetto “le Regioni, le Province, i Comuni”, oggi è divenuto problema che attiene alla forma di Stato, vale a dire alla qualità dei rapporti che intercorrono tra cittadino e poteri pubblici, la cui delegittimazione sta dinnanzi agli occhi di tutti per aver i poteri opposto, a ripetute domande di giustizia, l’ottusità del silenzio di chi immagina come possibile una vita senza contraddittorio. Dunque, senza confronto. E senza confronto leale e vero non c’è speranza.