Epifani ha giocato una carta pericolosa nella recente trattativa su Alitalia; ha scommesso sul fatto che la sua resistenza sarebbe stata premiata, e per certi versi ha avuto ragione. Nel merito ha firmato un accordo il cui contenuto nella sostanza era in larghissima misura quello iniziale già firmato da Uil e Cisl; ma la poca rilevanza dei maggiori risultati portati a casa non gli ha impedito di dire che era stato il baluardo dei lavoratori, ottenendo così consenso da un certo mondo della sinistra che oggi si sente orfano di rappresentanza, così come ha ottenuto che lo stesso Partito Democratico si spostasse sulle sue posizioni; più difficile è dire se questo gli abbia permesso di incrementare i consensi presso i lavoratori.



Riuscito il primo azzardo, subito dopo ha giocato il secondo: la rottura del tavolo sulla riforma del modello contrattuale. Anche qui il merito è di difficile comprensione, in fondo, per quel che si sa, si propone di legare i salari all’inflazione reale depurata dagli effetti legati a quella importata, il che non dà come esito l’inflazione reale, ma certamente è ben al di sopra di quella programmata. Ma ancor più incomprensibile è il metodo: la CGIL, mentre si discute di quale sarà il nuovo modello federale, sembra perseguire un ritorno a un centralismo fuori dalla storia. In tal senso la contrattazione decentrata con forti gradi di autonomia posti al livello aziendale è la sola strada per premiare la produttività, per tenere conto delle differenze settoriali e territoriali e in ultima analisi per non appiattire i salari verso il basso o al contrario per non rischiare di affossare il sistema delle imprese.



Certo ha ragione la CGIL a dire che non si può accettare un accordo a scatola chiusa e che compito del sindacato è di spuntare migliori condizioni per i lavoratori, ma questo pare essere più un pretesto per un posizionamento nel campo sindacale e politico, che un discorso nel merito. D’altro canto è difficile pensare che CISL e UIL non abbiano più a cuore i lavoratori e si siano lanciate in un collateralismo politico con un governo che ad ogni buon conto non raccoglie certo nella base dei loro iscritti la maggioranza dei favori elettorali.

La scommessa di Epifani è poi tragica per il partito democratico, spingerlo oggi verso una scelta di campo tra le diverse componenti sindacali ne segnerebbe la definitiva scomparsa dal panorama politico in termini di credibilità come possibile alternativa di governo.



Non ci resta che confidare che, pur nel rispetto dei ruoli, anche la CGIL faccia memoria della sua tradizione di sindacato confederale che in altri momenti della storia ha saputo anteporre il bene comune e il sostegno allo sviluppo a ogni rivendicazione ideologica, a costo anche dell’impopolarità. Siamo di fronte a una crisi del sistema finanziario che nella migliore delle ipotesi porterà a un inasprimento del costo del denaro, soprattutto per le piccole e medie imprese, ci confrontiamo in interi settori con una concorrenza che vende i nostri stessi prodotti a prezzi irraggiungibili, dobbiamo ripensare a un welfare in cui le tutele di tipo monetario non saranno certo le più rilevanti e importanti. Serve lo sforzo di tutti e il contributo di tutti, dai singoli alle organizzazioni di rappresentanza, dalla politica a tutte le forme che assumono i c.d. corpi intermedi. Per questo è auspicabile che il dibattito e le scelte siano condivise e discusse in modo ampio come propone nelle sue linee essenziali il libro verde del Ministro Sacconi a cui ci permettiamo di fare una sola raccomandazione che è quella di non cadere nell’errore di far coincidere sussidiarietà con bilateralità (sia essa con o senza la CGIL) pena privarsi del prezioso contributo di tante energie vive del nostro paese e forse di ricadere in una logica corporativa che rischia di favorire solo rendite di posizione a discapito di coloro che sono i meno tutelati.