Il Governo americano convince anche i recalcitranti repubblicani della sua maggioranza, ma il “piano Paulson” non pare, per il momento, convincere il mercato. O meglio il “piano Paulson”contiene forse lo shock degli altri dati negativi dell’economia americana, come quelli relativi alla disoccupazione e quelli degli ordinativi industriali. Se nella notte, il Senato degli Stati Uniti dava il suo via libera al maxifondo decretando un intervento statale da far quasi sorridere rispetto a quelli del “New Deal” di Franklyn Delano Roosvelt e a quelli del keynesismo degli anni Trenta, Wall Street all’apertura in mattinata era di nuovo in negativo.



Sono scenari talmente complessi che ormai sfuggono alla comprensione persino degli esperti e impongono un mutamento di indirizzo a quella “voglia di stravincere” che ha sempre avuto Wall Street sia dai tempi della Grande depressione dopo la crisi del ‘29 ( come è utile rileggere in questi giorni “Il grande crollo” di John Kenneth Galbraith), sia dopo il crollo del Muro di Berlino del 1989, quando il capitalismo al posto di accontentarsi di una vittoria, “ha voluto stravincere”, come dice Marco Fortis.



L’America ottiene il “congelamento” dei “titoli tossici”, ma c’è anche la diffidenza, oltre ai dati negativi, che i 700 miliardi di dollari non bastino a coprire una realtà che nessuno sa ancora valutare bene nella sua reale portata e che forse è molto più ampia (alcuni dicono tre volte tanto) di quella presa in considerazione dal Congresso USA. Valgono molto di più in questo momento le considerazioni che faceva Giorgio Vittadini alcuni giorni fa: “Il punto è ammettere che questa non è una crisi solo economica: è una crisi antropologica che mette in discussione un’idea di razionalità umana ridotta, tesa come è alla massimizzazione del profitto nel breve periodo, ma disattenta ai presupposti necessari a creare una ricchezza reale e duratura e perciò destinata ad astrarsi dalla realtà e a costruire un mondo virtuale destinato a crollare”.



È chiaro che in un’economia ormai globalizzata, ci sono ripari, posti fortificati per ripararsi dalla tempesta, come in alcune zone, Eurolandia o Italia ad esempio. Ma i contraccolpi si sentono e lo tsunami non risparmia nessuno, nemmeno le spiagge italiane. È il caso di questi giorni per una grande banca come Unicredit, ma non solo, che ha passato i primi due giorni della settimana all’ombra di un incubo, con una doppia sospensione per eccesso di ribasso che oltrepassava il 10 per cento. Poi c’è stato un mercoledì di recupero, con interventi che hanno coinvolto non solo l’amministratore delegato Alessandro Profumo in prima persona, che è andato irritualmente persino in televisione, ma anche il Presidente del Consiglio e il Governatore della Banca d’Italia. Mercoledì il titolo Unicredit, dopo le dichiarazioni di Profumo, ha rimbalzato bene, pur cavalcando “montagne russe”. Ma giovedì, dopo un’apertura positiva, dove il rimbalzo proseguiva di ben cinque punti percentuale, ha chiuso ancora in negativo sull’onda dell’andamento di Wall Street, che ha influenzato inevitabilmente gli altri mercati.

In tutto questo putiferio finanziario si è innescato un tormentone di voci intorno a Unicredit, alimentato anche da un “perfido” articolo del Financial Times on-line, dove si parla non solo delle difficoltà “tedesche, austriache e polacche” di Unicredit, ma anche di “problemi più profondi”.

Quali possano essere questi problemi più profondi non è possibile conoscerli. La realtà, a nostro parere, è che Unicredit soffre oggi della sua ampiezza di grande gruppo internazionale ed è quindi più esposto alla turbolenza della crisi dei subprime. Ma pensare che Unicredit non sia un gruppo solido è fuori dalla realtà. Così come pensare che la banca di Alessandro Profumo sia esposta a un takeover da parte del Santander di Emilio Botin. Questo rischio c’è sempre in una situazione dei mercati come questa, ma non si tratta di un rally facile, di una passeggiata che ti fanno fare con tranquillità. Le banche italiane sono solide e liquide. Dice Profumo: “ Il vero tema è quello dell’impatto della crisi finanziaria sull’economia reale”. E tocca il punto cruciale, che equivale al ripensamento che si deve fare nel rapporto tra finanza ed economia reale.