Martedì 28 ottobre 2008, in piazzetta Cuccia a Milano alle ore 11 di mattina, si conclude un’epoca e si apre una nuova, e forse vecchia, storia della finanza italiana.
Si apre l’assemblea ordinaria di Mediobanca, che poi si trasforma in straordinaria per approvare il nuovo statuto: il ritorno al sistema monistico o tradizionale, con l’abbandono del duale che ha vissuto lo spazio limitato di un anno. Alla fine, tra i soci di piazzetta Cuccia, si conteranno sei contrari e tre astenuti, soprattutto rappresentanti di fondi esteri.
Ma del grande disagio che doveva esserci e che, solamente il 2 settembre sembrava esploso con una intervista dell’amministratore delegato di Unicredit, Alessandro Profumo, al Corriere della Sera, non c’è più traccia.
Nella stessa ora in cui si apre l’assemblea, dopo una breve riunione dell’ultimo Consiglio di Sorveglianza (“creatura” del sistema duale), Profumo è ancora “in battaglia” sul mercato per la difesa del titolo di Unicredit che, in chiusura di seduta, segnerà un rosso drammatico: meno 13%.
Quando la Borsa chiude, a piazzetta Cuccia viene eletto formalmente il nuovo Consiglio di amministrazione, con Marco Tronchetti Provera che diventa vicepresidente insieme a Dieter Rampl e con Marina Berlusconi che, in rappresentanza dei soci industriali, fa la sua “new entry”.
L’assemblea è stata lunga, con 25 iscritti a parlare e a chiedere di tutto e di più. Ma non c’è troppo tempo per concetti e quesiti. Con uno stacco deciso, il presidente di Mediobanca, Cesare Geronzi, rilancia quello che sembra un principio fondamentale: «Siamo una banca importante e, insieme alla altre grandi banche, dobbiamo sostenere in questo momento la ripresa del Paese».
È quasi “generoso” Geronzi nella sua nuova “incoronazione” a parlare di “insieme”. In realtà è la vecchia Mediobanca, riverniciata secondo i tempi nuovi, che ritorna al centro del sistema, che ritorna a fare perno, come grande merchant bank internazionale e come holding, che ha in portafoglio i titoli di tre realtà strategiche italiane: Generali, Telecom Italia, Rcs-Corriere della Sera.
È stato proprio sulla gestione di quelle partecipazioni che è franato il duale e che d’ora in avanti sarà gestita dal consiglio di amministrazione. Certo, il management è presente al completo nel Cda e nell’Esecutivo, la “novità” è stata recepita. Ma la gestione delle grandi partecipate passa attraverso il presidente e l’asse di maggioranza in Cda di piazzetta Cuccia, con in evidenza il Gruppo C, di Vincent Bollorè e di Tarak Ben Ammar, con i soci industriali del Gruppo B e anche con i nuovi soci come Mediolanum del Gruppo A.
L’allineamento alla svolta di Geronzi è talmente persuasivo che anche il “primo ribelle” dell’abbandono del duale, l’amministratore delegato, Alberto Nagel, lancia un autentico siluro alla “finanza che faceva trend”. Dice Nagel, mentre riassume i conti positivi di Mediobanca nonostante la grande crisi finanziaria mondiale: «Non ci mettiamo mai in investimenti poco comprensibili e che non conosciamo. Per questo ci siamo salvati». E, quasi spaventato da una domanda, Nagel replica: «Non ci quoteremo a Wall Street».
Si comprende da queste frasi del presidente e dell’amministratore delegato che la merchant bank milanese si prende le sue rivincite sulle (ex) consorelle americane, le “stelle di New York”, le banche d’affari “regine” di Wall Street oggi diventate banche commerciali, che pure, a metà degli anni Novanta, nella stagione delle grandi privatizzazioni in Italia, erano le protagoniste advisor anche nel nostro Paese, relegando Mediobanca al rango di una nobile decaduta.
Piazzetta Cuccia, allora via Filodrammatici con Enrico Cuccia ancora in vita e Vincenzo Maranghi al suo fianco, sembrava la testimonianza di un passato irripetibile, di un altro e datato capitalismo italiano. Oltre allo strapotere delle consorelle americane, pure l’introduzione della banca universale nel 1993 sembrava segnare la fine della funzione strategica di Mediobanca. Se tutti possono fare investiment banking, retail, possedere quote di aziende e altro ancora, a che cosa può servire più la vecchia Mediobanca? Forse era una visione miope del sistema Italia che, negli anni, e soprattutto nel momento in cui esplode in tutta la sua violenza la grande crisi, si è rivelata del tutto inadeguata.
Che alla centralità di Mediobanca pensi anche e soprattutto il suo presidente, lo attesta una frase quasi sibilata durante l’assemblea: «So che nessuno mi crederà – dice Geronzi – ma io non penso affatto a diventare vicepresidente di Generali e nemmeno a entrare in consiglio di amministrazione, perché voglio fare solo il presidente di Mediobanca».
È evidente che ora si aprono le grandi partite italiane. Si possono scegliere le priorità e le date. Il fatto è che Mediobanca resta il crocevia dei grandi affari italiani, probabilmente anche il vero advisor del Governo di Silvio Belusconi e di Giulio Tremonti. Per cui si traggano le conseguenze che riguardano Telecom generali e Rcs.
La storia, in genere, non si ripete mai. Ma certamente la “resurrezione” o la rivincita di Mediobanca appare come una “strada obbligata”. Non è solo merito della tradizione di piazzetta Cuccia.
Ieri, mentre Mediobanca operava quello che impropriamente si può definire un “ritorno al passato”, gli altri, “alternativi” al vecchio sistema e vecchi equilibri, dovevano fare i conti con un mercato che li penalizzava e da protagonisti della nuova finanza ricadevano, per necessità, nelle sistemazioni future che il Tesoro italiano dovrà operare.