Professor Treu, la trattativa sui contratti tra Confindustria e sindacati si è interrotta: la Cgil ha abbandonato il tavolo.

 

Sì, ma non è una rottura definitiva. E credo che le posizioni non siano così distanti da pregiudicare ulteriori sviluppi in vista di un accordo di cui abbiamo tutti bisogno per rilanciare l’efficienza del sistema contrattuale. Se ci fosse una rottura, anche in presenza di un accordo separato – ma non lo credo – avremmo conflitti e tensioni, che certo non gioverebbero né alle imprese né ai lavoratori, in un periodo caratterizzato complessivamente, anche visti gli ultimi sviluppi dell’economia internazionale, da grandi difficoltà.



 

Sul merito della trattativa?

 

I punti nevralgici sono la tenuta del potere d’acquisto e la valorizzazione della contrattazione di secondo livello. Sul secondo sono d’accordo tutti, sul primo la discussione è ancora aperta. Da quello che mi risulta se si applica bene il sistema sull’inflazione prevista, si ottiene un risultato non solo migliore di quello che si avrebbe per l’inflazione programmata. Con un meccanismo di recupero, che è previsto, si dovrebbe garantire una sostanziale tenuta a livello di contratto nazionale. Il secondo livello deve poi essere potenziato per far partecipare i lavoratori all’incremento di produttività.



 

Tito Boeri e Pietro Garibaldi, su lavoce.info, hanno proposto un “premio di default” sul secondo livello di contrattazione legato al Mol, cioè al margine operativo lordo delle imprese. La proposta punta a legare gli incrementi retributivi all’andamento del reddito operativo lordo per addetto anche nelle imprese in cui non si svolge la contrattazione di secondo livello. Come base di calcolo per la clausola di garanzia, propongono la base imponibile Irap legata alla produttività. Che ne pensa?

 

Riguarda il secondo aspetto di cui ho detto un attimo fa. La tenuta del potere d’acquisto resta un momento importante: la contrattazione decentrata riguarda solamente il 30% delle aziende, bisogna che ci sia un meccanismo, sia pure flessibile, a posteriori, con ritardo – senza arrivare a introdurre la scala mobile – che garantisca una tenuta. È il primo punto da risolvere. Boeri e Garibaldi dicono: cerchiamo di rendere flessibile il secondo livello. O al secondo livello si fanno gli accordi e li si applica, oppure, nel caso che non ci sia un accordo per il secondo livello, stabiliamo (ecco il “default”) che venga dato ai lavoratori un aumento correlato al margine operativo lordo (mol) o a qualche indicatore di redditività. Può andar bene, ma sempre se prima si trova un accordo sulla contrattazione di primo livello, perché se un’azienda non consegue risultati ampiamente positivi ma, per esempio, attraversa una fase di crisi, perlomeno il potere d’acquisto va garantito.



 

La trattativa tra Confindustria e sindacati su questo cosa prevede?

 

Nello schema dell’intesa si dice che a chi non riesce a fare la contrattazione di secondo livello si dà un elemento compensativo stabilito. Mentre la voce.info dice è meglio che anche questo elemento sia dinamico, e non forfettario come si dice invece nella trattativa tra le parti. E però resta il punto: se molte aziende un dato anno non conseguono un buon risultato, i lavoratori perdono salario? Non aiuterebbe l’intesa.

 

A suo avviso, quindi, il punto cruciale è la contrattazione territoriale. Brunetta ieri a Rtl ha rilanciato il tema del “federalismo contrattuale”, cioè contratti articolati regione per regione, settore per settore, proprio per garantire più flessibilità.

 

Se si rafforza la contrattazione di secondo livello, le aziende più produttive daranno più soldi ai lavoratori. Ma il punto veramente delicato è la contrattazione territoriale: mentre sulla contrattazione aziendale si è andati avanti e già essa “realizza” questa forma di federalismo, su quella territoriale in realtà c’è lo stop di Confindustria. I sindacati la chiederebbero, e dicono: nelle aziende dove non c’è la contrattazione aziendale facciamo quella territoriale. Ma Confidustria finora ha detto di no perché teme che, nelle zone in cui il sindacato è più forte, come Emilia o Lombardia, faccia prima la contrattazione territoriale, poi chieda un’ulteriore contrattazione a livello aziendale. Rischiando, invece di rendere più efficace e di semplificare il sistema, di peggiorarlo. Questo a mio avviso è uno dei punti di maggiore criticità.

 

La vicenda Alitalia ha segnato un punto di svolta nei rapporti tra Cgil, Cisl e Uil?

 

Bonanni ha firmato l’accordo, Epifani prima ha detto no poi ha alzato la posta: sono cose che non fanno certamente bene ai rapporti tra i sindacati. Ma ora la partita sul rinnovo dei contratti è di portata più ampia e mi auguro che si faccia una trattativa realmente centrata sul merito.

 

Secondo lei Confindustria andrà avanti solo con Cisl e Uil o aspetterà che la situazione si evolva per avere anche la Cgil al tavolo?

 

Raggiungere un accordo che tenga conto anche della Cgil è nell’interesse di tutti e credo che qualche ulteriore sforzo si farà. Non bisogna dimenticare che occorre allargare il dialogo alle altre confederazioni, come commercianti e artigiani… anzi, proprio questo ampliamento potrebbe aiutare a stemperare le tensioni e facilitare il dialogo. Sarebbe bene che ci fossero logiche di merito, superando logiche di partito.

 

Il governo?

 

Il governo potrebbe dare una mano in due direzioni. La prima, dando qualche aiuto fiscale ai salari medio-bassi e tutelando in tal modo il potere d’acquisto. Chi soffre di più sono coloro che hanno un reddito di 20, 25-30mila euro annui e che in questi anni hanno perso anche il fiscal drag. Un aiuto fiscale da parte del governo lo abbiamo chiesto noi come opposizione e lo hanno chiesto anche i sindacati.

 

E la seconda misura che potrebbe adottare il governo?

 

Rafforzare gli incentivi ai contratti di secondo livello. Attualmente i contratti aziendali si fanno nel 30-40% delle aziende. Rafforzare gli incentivi per i salari contrattati – li abbiamo inseriti noi con il governo Prodi, e Sacconi li ha ripresi – faciliterebbe di molto l’accordo e andrebbe proprio nella direzione del federalismo contrattuale di cui parla Brunetta.