Professor Niskanen, qual è secondo lei la causa dell’attuale crisi finanziaria?

La crisi attuale è in gran parte conseguenza di azioni dei vari governi, che hanno spinto il settore privato a intraprendere attività finanziarie fuori dal comune.

Una di queste azioni è stata la creazione, parecchi decenni fa, di Fannie Mae e Freddie Mac, che hanno concesso mutui anche a cittadini poveri, non in grado di ripagarli, grazie a sussidi dei fondi federali. Una situazione denunciata da vent’anni senza che sia stata presa nessuna misura. Anzi, il presidente Clinton ha rafforzato parecchio i due istituti e ha permesso che acquistassero titoli cartolarizzati con mutui ipotecari. La concessione di questi mutui è aumentata sempre più, fino alla recente esplosione.



La situazione che ha descritto riguarda gli Stati Uniti. Come ha fatto la crisi a “contagiare” anche l’Europa?

Con una legge del 1977, le banche non hanno più avuto limiti territoriali nella concessione del credito. Le banche hanno così finito per prestare denaro anche a chi offriva scarse garanzie, ma che non avrebbe potuto ottenere credito in altro modo. In cambio, le banche hanno ottenuto, per esempio, l’autorizzazione a fusioni o acquisizioni.



In più, nel 1995, il Congresso ha autorizzato le banche a cartolarizzare questi mutui, mentre prima erano costrette a tenere i prestiti nel loro portafoglio ed erano quindi più attente ai rischi che assumevano. Con la cartolarizzazione, questi mutui ad alto rischio sono stati messi in circolazione sui mercati, anche europei, e gli stessi Freddie e Fannie ne hanno comprati circa un terzo.

Che ruolo pensa abbia avuto la Banca Centrale americana (Fed) in questa crisi?

Credo che la responsabilità principale della Fed sia stata quella di aver mantenuto bassi i tassi di interesse negli anni dal 2002 al 2004, nel tentativo di sostenere la ripresa economica. Questa scelta ha creato una “bolla” nella domanda generale, che ha ulteriormente rafforzato la “bolla” immobiliare.



Altri esperti hanno messo sotto accusa le banche…

I problemi non sono sorti con le banche commerciali, ma con le banche di investimento, con gli hedge fund e simili. Questa tipologia di società finanziarie opera con un rapporto di leva finanziaria (rapporto tra impieghi e capitali propri) di 30/40 volte, contro la media di 10 volte delle banche commerciali.

Un’elevata leva finanziaria significa che, se l’investimento va a buon fine, il guadagno per chi investe è molto alto, ma se qualcosa va storto le perdite sono altissime e si rischia il collasso.

Dopo i recenti fallimenti a catena, le due ultime grandi banche di investimento (Goldman Sachs e Stanley Morgan) hanno scelto di trasformarsi in banche commerciali, sottomettendosi a una disciplina più rigida, ma potendo così godere della copertura assicurativa sui depositi e dei prestiti della Fed a tassi speciali.

Un problema quindi di “avidità” dei soggetti finanziari?

McCain e Obama hanno attribuito la crisi alla avidità. Non v’è dubbio che ve ne sia sempre stata a Wall Street, fin dalla sua nascita nell’Ottocento: quindi l’avidità non è una novità, lo invece la combinazione di questi nuovi strumenti di investimento creati da Wall Street con le misure governative che hanno causato pressioni sul mercato immobiliare e sul suo finanziamento.

La cosa grave è che il piano di Paulson e Bernanke non contiene nessuna misura per risolvere le cause della crisi, è solo un piano di salvataggio e quindi non serve per evitare che una crisi simile si ripeta.

Cosa andrebbe fatto allora?

Freddie Mac e Fannie Mae dovrebbe essere riformate, o addirittura chiuse: bisogna impedire che crediti come i mutui subprime possano essere cartolarizzati e rimangano invece nel portfolio della banca che li ha concessi, rendendola così più attenta a una corretta valutazione del rischio.

Occorre anche rivedere il modo in cui avvengono le valutazioni da parte delle agenzie di rating. Io ho scritto due libri sul caso Enron e ho scoperto che a questa società era stata attribuita un’alta valutazione cinque giorni prima del suo rovinoso fallimento.

L’attuale crisi ha portato in primo piano un sostanziale distacco della finanza, o almeno di una sua parte, dall’economia reale. Cosa ne pensa?

Direi che il vero distacco negli Stati Uniti è tra il sistema bancario in generale e Wall Street. Abbiamo verificato se le banche regionali hanno difficoltà a raccogliere credito e a concedere prestiti:la risposta è stata quasi sempre no . Il totale dei prestiti commerciali e industriali fino alla terza settimana di settembre (ultima stima disponibile) è cresciuto ed è superiore di circa il 20% rispetto al periodo corrispondente dello scorso anno.

Ma se i problemi di Wall Street erano così evidenti, perché non si è intervenuto prima con i cambiamenti opportuni?

Perché a Wall Street si fanno molti soldi. Ma le relazioni tra Wall Street e il sistema finanziario generale sono molto più deboli. Nel resto del sistema economico non sono stati fatti cambiamenti, perché le conseguenze non sono state così gravi.

Ho letto stamattina sui giornali che il tasso di disoccupazione nella Comunità europea è al 7,5%, mentre negli Stati Uniti è al 6%, nonostante il pessimo momento che stiamo attraversando. Inoltre, il tempo medio per trovare un nuovo lavoro in Usa è di dieci settimane, in Europa è spesso vicino all’anno. Negli Stati Uniti le condizioni dell’economia reale sono piuttosto buone e abbiamo avuto un buon secondo trimestre. Ciò che è cambiato, perciò, è la relazione tra Wall Street e il resto della comunità finanziaria e tra Wall Street e l’economia reale, questo è il vero cambiamento.

A sentire le sue parole, sembra che questa crisi non sia tanto “grave”…

La crisi si è svolta all’interno di Wall Street, ma per gli Stati Uniti la vera crisi finanziaria sarebbe stata quella delle banche commerciali, quando il fallimento di una banca spinge i risparmiatori a una corsa generale a ritirare i propri depositi. Ma questo, per fortuna non è avvenuto.

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