In questi giorni, sono state pubblicate due importanti ricerche: l’una sulle organizzazioni di volontariato, curata dalla Feo-Fivol e, l’altra sulle cooperative sociali, realizzata da EURICSE, Università di Trento.

Pur prendendo in considerazione due universi non profit tra loro diversi per storia, dimensioni, modalità organizzative e forma giuridica, le due rilevazioni contengono alcuni “punti di contatto” che – come già in altri contributi apparsi su ilsussidiario.net hanno evidenziato – testimoniano di un fenomeno lungi dall’aver raggiunto un approdo definitivo.



Il problema, infatti, non è l’indifferenziazione delle forme giuridiche, quanto piuttosto la necessità di “offrire” agli operatori del settore, nonché a tutti i potenziali interessati, una gamma di soluzioni giuridico-organizzative. E ciò, da un punto di vista economico complessivo, contribuisce ad aumentare l’appeal del settore non lucrativo, rendendolo, allo stesso tempo, più stabile, credibile e affidabile.



Per quanto concerne le organizzazioni di volontariato, esse fanno registrare una crescita sia in termini di indipendenza da sigle già conosciute, sia in termini di settori “coperti” dal loro intervento. Da segnalare anche l’incremento consistente del numero di organizzazioni iscritte agli albi regionali (52% nel 1997; 82,2% nel 2007) che sembra deporre a favore di una maggiore “pubblicizzazione”, legata alla possibilità di accedere ai finanziamenti/convenzioni con la P.A., così come previsto dalla normativa speciale.

Sul fronte delle cooperative sociali, la ricerca sottolinea che, accanto ai finanziamenti pubblici, così disciplinati dalla l. 381/91, aumentano i ricavi da fonti private (rectius: imprese). Si tratta, pur nell’espansione della percentuale di questa tipologia di entrate, di una opzione “classica” delle cooperative sociali, imprese mutualistiche che erogano servizi contro un corrispettivo.



Per contro, anche le organizzazioni di volontariato possono recuperare finanziamenti diversi da quelli pubblici, ma solamente in via residuale, poiché la l. 266/91 ha inteso riconoscere nelle organizzazioni di volontariato un fenomeno “ancillare” alle scelte e alle azioni degli enti locali.

Apparentemente, dunque, le due ricerche sembrerebbero fotografare due realtà contraddittorie: da un lato, le organizzazioni di volontariato sempre più orientate a entrare nella logica del contributo pubblico; dall’altro, le cooperative sociali alla ricerca di nuovi “mercati” in cui rafforzare la loro mission sociale. Ma la contrapposizione, appunto, è solo apparente, poiché, ancorché ovviamente legati alla rispettiva configurazione giuridico-organizzativa, i trends segnalati dimostrano – ancora una volta – un fenomeno in grado di dispiegare molte potenzialità, contribuendo così complessivamente a una ulteriore affermazione del principio di sussidiarietà.

Infatti, in entrambi i casi, pur con modalità differenti, gli enti pubblici, in specie locali, sono e, a fortiori in una logica progressiva di federalismo fiscale saranno, chiamati a selezionare i progetti da ammettere a contributo. Detta “selezione” contrattuale a rilevanza sociale potrebbe altresì prefigurare nuove modalità di supporto anche a favore delle imprese tradizionali e delle public utilities che intendano avvalersi delle prestazioni delle cooperative sociali, in specie di quelle di tipo b.

Invero, in un ideale “distretto dell’economia solidale” si potrebbero progettare interessanti sperimentazioni di partnership pubblico-privato (PPPs), anche alla luce delle recenti linee guida elaborate dalla Commissione UE.

Nel “distretto” in parola si potrebbero attivare le seguenti azioni, a titolo esemplificativo:

Costituire una “rete” di soggetti (pubblici, privati for profit e non profit);

Favorire la realizzazione di processi produttivi, in specie finalizzati all’inserimento lavorativo di persone svantaggiate;

Rappresentare una organizzazione capace di attivare circuiti economici, investimenti e politiche di intervento, che sappiano valorizzare le risorse del territorio;

Permettere l’inclusione nel sistema anche della fasce più deboli;

Integrare un sistema di relazioni di cui la regia può essere anche attribuita agli enti pubblici;

Realizzare una banca dati di human resources a disposizione di tutti gli attori del territorio;

Favorire la creazione di un’area in cui le organizzazioni non profit si possano scambiare buone prassi;

Definire interventi ed azioni caratterizzate da agilità e flessibilità.