La scorsa settimana l’Istat ha confermato un elemento già noto nello scenario sociale italiano: 7 milioni e mezzo di persone si ritrovano stabilmente in una condizione di “povertà relativa”. Una cifra che dal 2003 appare sostanzialmente costante. Non si tratta naturalmente di poveri veri e propri, ma di persone con un tenore di vita (consumi) più basso rispetto a tutti gli altri. Insomma, 7 milioni e mezzo di persone che non se la passano benissimo e che rappresentano un’area di rischio sociale inscalfibile dalle farraginose politiche sociali italiane.



L’elemento nuovo della crisi, finanziaria prima ed economica poi, che sta colpendo l’intero globo introduce però preoccupazioni piuttosto serie circa l’evoluzione che dovremo aspettarci fin dal prossimo anno. Al di là degli scenari più o meno foschi, l’avvio di una più o meno lunga recessione porta con sé le prime serie ristrutturazioni aziendali, mentre la stretta creditizia colpisce (e colpirà) soprattutto le piccole e medie imprese, che come noto impiegano la stragrande maggioranza dei lavoratori del nostro sistema produttivo.



Quali conseguenze sociali dobbiamo dunque attenderci? È molto probabile che a fare le spese di questa situazione nuova saranno innanzitutto i lavoratori con contratti di lavoro non standard (i cosiddetti “atipici”), i più facili da “tagliare” nelle fasi di contrazione dei costi aziendali. La mancata riforma degli ammortizzatori sociali priva proprio queste figure dei più elementari “paracadute economici”, lasciandoli dunque in balia della tempesta proprio in una fase in cui sarà prevedibilmente più difficile che le aziende si mettano ad assumere. Si tratta di un rischio molto forte, che andrebbe a colpire soprattutto i lavoratori più giovani.



Contestualmente, il rischio sociale si sposterà dalle famiglie che hanno contratto mutui, destinati a scendere dopo l’impennata degli ultimi anni (seppur in maniera più contenuta di quanto siano cresciuti negli ultimi tre anni), a quelle che vivono in affitto. I dati più recenti riportati su “Corriere Economia” (riferiti al mese di ottobre 2008) dicono infatti che il mercato degli acquisti è ancora sostanzialmente fermo dopo la grande frenata del 2007, con quotazioni che però diminuiscono molto lentamente. Questo scenario sta spingendo in alto la domanda di case in locazione sin dal secondo semestre dello scorso anno, con la conseguente ulteriore crescita dei canoni di affitto, già soggetti ad un aumento superiore all’inflazione negli ultimi anni.

La più recente indagine sui consumi Istat (luglio 2008) mostra come i canoni di locazioni siano cresciuti dal 2005 al 2007 dell’11,4%, contro un aumento medio delle rate di mutuo di circa il 7% (figura 1).

Tale crescita rischia dunque di mettere in difficoltà una fascia di famiglie che, come ha dimostrato anche la ricerca EU-SILC, mostrava già segnali di malessere superiori rispetto al resto della popolazione. E anche in questo caso è probabile che siano le famiglie più giovani a essere maggiormente colpite dall’evoluzione negativa del mercato.

Figura 1 – Affitto medio mensile pagato dalle famiglie affittuarie dell’abitazione in cui vivono, per ripartizione geografica (valori in euro) – Fonte: ISTAT, 2008.

L’insieme di queste considerazioni porta dunque a pensare alla necessità di interventi di policy che vadano da un lato nella direzione di un sostegno dei consumi di base (come si sta già iniziando a fare, almeno in termini progettuali), dall’altro a difesa delle categorie tradizionalmente deboli a rischio di ulteriore indebolimento.

Decisamente urgente appare dunque l’intervento per armonizzare gli ammortizzatori sociali, salvaguardando maggiormente i contratti non standard. Così come risulta urgente un rafforzamento degli interventi, nazionali e regionali, per il sostegno degli affitti alle giovani coppie, che rischiano di rappresentare la categoria più vulnerabile di questa delicata transizione economica.