La conclusione della “telenovela” del G-20 ha chiuso un’intensa settimana nel panorama politico spagnolo, incominciata con il dato drammatico sulla disoccupazione in ottobre, proseguita con l’inchiesta del CIS (Centro de Investigaciones Sociológicas) e le misure di sostegno a imprese e famiglie, e che ha raggiunto il suo punto più tragico con la morte di due soldati in Afghanistan. La presenza spagnola nel conflitto in questo paese mediorientale è un riflesso molto più fedele di quello che rappresenta il nostro paese nella scena internazionale rispetto a quanto la retorica del Governo vuol far credere. E in tutto questo dov’è l’opposizione?



Alla fine la Spagna parteciperà alla riunione di alto livello di Washington. Molti stanno già pensando che il fatto di partecipare al G-20 sia qualcosa simile al passaggio ai preliminari di Champions o alla partecipazione alla fase finale dei mondiali del Sudafrica.

Il Presidente Zapatero ha accompagnato la buona nuova con una retorica propria dei grandi successi storici e ancora una volta si è innalzato, come più gli piace, come l’uomo che ha aiutato tutti noi spagnoli a recuperare tutto quello che il franchismo ci ha negato. Approfittando dell’occasione ha ignorato il grande lavoro dei governi del suo collega di partito Felipe González. L’entrata nella Nato e nella Comunità Economica Europea? L’organizzazione della Conferenza di Pace per il Medio Oriente a Madrid? Sono cose di poco conto in confronto alle ultime gesta di Zapatero!



Secondo le argomentazioni del Partito Socialista, l’importanza della partecipazione della Spagna al summit starebbe nel fatto che il nostro Paese potrà rivelare alle grandi potenze le ricette del suo robusto e sano sistema finanziario. Così pare che andremo a Washington a impartire lezioni agli Stati Uniti, alla Germania, alla Francia, al Regno Unito e a tutti gli altri su come si sarebbe potuta evitare la crisi.

Tuttavia, a giudicare dalla nostre cifre sulla disoccupazione (molto peggiori rispetto ai nostri paesi confinanti), invece di dare lezioni dovremmo andare alla riunione rossi di vergogna nascondendoci sotto il tavolo o la sedia che tanto amorevolmente ci hanno concesso Sarkozy e Bush. In ogni caso, nulla potrà evitare un po’ di commiserazione, dato che la maggioranza degli analisti internazionali concorda sul fatto che la Spagna sarà il Paese che soffrirà maggiormente la crisi.



Grazie alla “telenovela” del summit, il Governo è uscito molto rafforzato dalla settimana in cui è stato reso noto il tremendo dato della crescita della disoccupazione ad ottobre: 192.000 persone. La felice conclusione di questa storia di sforzi diplomatici e l’annuncio di nuove misure di sostegno alle imprese e alle famiglie, emesso due volte – lunedì e sabato – allo stesso prezzo, hanno fatto sì che l’Esecutivo sia uscito molto più rafforzato dell’opposizione da questa settimana nera.

Il fatto è che raggiungere il pareggio nelle intenzioni di voto del sondaggio del CIS non è affatto una buona notizia per il Pp che sta cadendo, soprattutto da quando il suo presidente, Mariano Rajoy, continua a ottenere punteggi peggiori di Zapatero nella sua capacità di leadership.

Durante la settimana, il partito di Rajoy è tornato ad essere assente dal suo lavoro di opposizione e ha solamente creato brutte notizie come la sparata di González Pons nei confronti della Regina, la farsa della rifondazione del Pp a Navarra e il riferimento di Cospedal ai cospiratori interni. Non si tratta di discutere se il Pp deve fare opposizione dura o costruttiva, basterebbe solamente che rientrasse almeno in gioco, senza ritirarsi nei suoi problemi.

La morte dei due soldati spagnoli in Afghanistan è stato il fatto brutale che ha fatto ricordare ciò che rappresenta la Spagna nel panorama internazionale, nonostante il nuovo pacifismo mondiale che il Governo vuol farci credere stia costruendo. Questo pacifismo può costruire bellissime cupole, ma resta senza parole, come il ministro Chacón, di fronte alla perdita di due giovani soldati.

Non può nemmeno ammettere che quella in Afghanistan non è una missione umanitaria, di pace e ricostruzione, ma è una partecipazione, nel contesto degli accordi Nato e sotto l’egida dell’Onu, a una guerra (sì, una guerra) che si è iniziata per combattere una minaccia reale per i Paesi occidentali, per la nostra democrazia, libertà e stile di vita, qual è il terrorismo jihadista internazionale. Questo non si può dimenticare.