Negli ultimi anni, sia in Europa che in Italia, è andata progressivamente aumentando la domanda di mobilità, intesa come possibilità di effettuare spostamenti da e verso le città in termini efficienti, economici ed efficaci.

Sia il sistema normativo nazionale, sia i documenti, regolamenti e libri bianchi a livello europeo hanno tentato di rispondere a questa esigenza diffusa, introducendo nuove tipologie di servizi, ma soprattutto, direi, riconoscendo che il trasporto pubblico, in specie locale, è un diritto esigibile da parte dei cittadini e, conseguentemente, richiede di essere, benché mantenendo inalterata la sua funzione, flessibile e adattabile ai bisogni dei singoli.



Questo non significa che l’intervento pubblico sia destinato ad assumere una funzione “residuale” rispetto al mercato. Vorremmo invece suggerire una chiave di lettura secondo la quale la libertà di prestazione dei servizi, la contendibilità del mercato e la richiesta di competitività possono rappresentare fattori che impongono la ricerca di nuovi assetti e di nuove modalità di organizzazione e gestione del trasporto pubblico locale.



Il sistema dei trasporti locali di persone è oggi caratterizzato, tra l’altro, dal necessario orientamento alle istanze degli utenti dei servizi e dall’altrettanto necessaria esigenza di riuscire a coniugare la componente sociale del servizio con la sostenibilità economica dello stesso.

In questo scenario, comune a tutti i paesi europei, l’ente pubblico è chiamato a svolgere un ruolo fondamentale e insostituibile, ossia quello di regolatore, di coordinare gli interventi integrati, nonché di valutare gli interventi e i servizi realizzati.

Si tratta pertanto di introdurre in un settore ad altissima vocazione pubblica, nel senso di collettiva, con la cautela e l’attenzione che il tema richiede, forme di integrazione e di partnership che implementino il principio di sussidiarietà orizzontale e che contribuiscano a superare la rigida e storica contrapposizione tra pubblico e privato.



In Italia e in molte regioni, per vero, il contesto normativo non è sfavorevole in termini generali a questa impostazione. Infatti, in alcuni territori, la storia e la tradizione locale hanno permesso di avviare processi di confronto e di valutazione di nuove formule di integrazione tra strutture pubbliche ed esperienze private che permettano l’innalzamento del livello qualitativo delle prestazioni, che permettano riduzioni di costi e, conseguentemente, una complessiva efficienza del sistema.

In questo quadro di riferimento, notevoli sono gli spazi di intervento e di collaborazione che allora si aprono per soggetti collettivi, quali i consorzi (in specie artigiani) e i raggruppamenti di imprese mutualistiche. Tali organizzazioni sono spesso caratterizzate dai seguenti elementi:

· la dimensione artigianale delle aziende erogatrici del servizio;

· il forte radicamento sul territorio;

· la dimensione sociale del servizio prestato (es. servizio scolastico);

· la capacità di fare “sintesi” tra prestazioni di trasporto e attività turistiche;

· una forte propensione a promuovere un servizio di qualità.

Sono questi gli “ingredienti giusti” per far crescere realtà territoriali, capaci di accreditarsi quali interlocutori qualificati nei confronti del territorio e delle istituzioni pubbliche, mettendo a disposizione il proprio know how e potenzialità.

In questo modo, si possono invero immaginare e progettare interventi e collaborazioni pubblico-privato (for profit e non profit), anche in un settore, quello del trasporto pubblico locale, normalmente concepito quale “riserva indiana” dell’intervento degli enti pubblici.

Al contrario, anche questo comparto, come altri, potrebbe divenire un interessante laboratorio in cui sviluppare – come richiamato anche recentemente dall’Unione Europea – affidabili PPPI, ossia partnership pubblico-privato istituzionalizzate.