La crisi, nata nelle banche e negli intermediari finanziari, è stata, secondo molti analisti, contenuta dai primi interventi dei singoli Stati e dalle istituzioni internazionali.
Al momento in Italia, al contrario degli interventi fatti in altri Paesi, si è guardato soprattutto a garantire la sicurezza dei depositi e a tranquillizzare i risparmiatori, anche perché è stato ribadito con forza che non c’era e non c’è alcun istituto di credito a rischio e sarebbe garantita sia la liquidità sia il credito alle imprese.
È stato indubbiamente un passo importante, perché il problema era di fiducia tra banche e clienti e tra banca e banca. Tutto quello che sinora è stato fatto sembra significativo e mirato per fare in modo che la crisi finanziaria non investa con un impatto drammatico l’economia reale.
Alcuni problemi tuttavia restano aperti. C’è attesa per il “G-20” di domani a Washington, che dovrebbe tracciare linee di intervento globale, arrivando addirittura a tracciare una seconda Bretton Woods, con nuovi orientamenti per il mondo finanziario ed economico.
Ma intanto in Italia, per il settore bancario, si aspetta che il Governo metta a punto il decreto sulla ricapitalizzazione delle banche che sono al momento talmente sottoquotate in Borsa, da essere esposte a possibili take-over.
C’è stato sinora una buona sintonia tra ministero dell’Economia e Banca d’Italia. In sintesi sembra che ci sia un accordo di massima per intervenire caso per caso, a richiesta delle stesse banche, in maniera non invasiva e soprattutto per un periodo limitato di tempo. Per evitare qualsiasi ripensamento statalistico, qualsiasi nuova forma di irizzazione, si sta pensando non tanto all’intervento dello Stato con azioni privilegiate nel capitale delle banche, ma piuttosto a un intervento con obbligazioni convertibili, garantite dal Tesoro, da metter sul mercato
A quanto pare sembra un modo di muoversi molto ragionevole, per nulla invasivo, limitato nel tempo e dettato dalle attuali circostanze legate all’attuale crisi finanziaria mondiale. La filosofia
A cui si ispira l’intervento governativo corrisponde a quanto pensano alcuni grandi banchieri italiani.
Il presidente della Banca Popolare di Milano, Roberto Mazzotta, sostiene ad esempio che:«In questo momento di crisi finanziaria le banche non possono fallire. La banca resta un’impresa e quindi, in qualsiasi altro momento può fallire come qualsiasi impresa. Ma adesso, con la crisi di sfiducia che si è prodotta nel settore del credito, il fallimento di una banca sarebbe un suicidio e provocherebbe dei seri danni all’economia reale».
Un clima quindi di apparente tranquillità sulla natura dell’intervento statale, ma che tuttavia ha innescato un dibattito molto serrato in questi giorni. Sui giornali sono scesi in campo, contro qualsiasi invasione politica e quindi statale, grandi personaggi dell’economia e della finanza, da Guido Rossi a Giuliano Amato, fino a un titolo piuttosto “sparato” sull’inserto economico del Corriere della Sera di lunedì 11 novembre: “Libera banca in libero stato”. Quasi un proclama davanti a un pericolo che pare inesistente al momento attuale. Oppure un monito che non sembra ancora necessario.
È forse cogliendo questa atmosfera leggermente “drogata” che il ministro per l’economia, Giulio Tremonti, mercoledì è improvvisamente sbottato: «Se gli istituti di credito lo chiedono, il Tesoro sottoscriverà obbligazioni che integrino la loro base patrimoniale, per erogare maggiori prestiti all’economia». Poi il ministro ha alzato i toni, sia verso le critiche dell’opposizione, sia verso le resistenze di molti pensatori: l’intervento serve solo a tutelare il risparmio, perché se un banchiere fallisce si opera un salvataggio e i banchieri vanno a casa o in galera.
Non crediamo e no speriamo che sia necessario ricorrere a tanto. Tuttavia sarebbe un bene che, anche nel mondo delle banche, si ritornasse a una filosofia più tradizionale. In questi anni abbiamo assistito a un efficientismo esasperato, all’ossessione di fare “valore” in tempi brevi (si potrebbe chiamare l’ossessione della trimestrale di cassa) e questo incredibile meccanismo delle stock option, che danneggia lo stesso capitale umano della banca, creando immensi guadagni e sperequazioni, formando professionisti a contratto che sono indotti a ragionare su tempi brevi e non su piani medio-lunghi.
Questo meccanismo non è certo la causa della grande crisi finanziaria, però, come dice ancora Roberto Mazzotta, è una sorta di “Triangolo delle Bermuda” per banche e banchieri.
Occorre quindi non drammatizzare l’entità dell’intervento statale, non trovare inutili “capri espiatori”, ma fotografare esattamente la situazione delle nostre banche.
Alcune si stanno già muovendo bene. Unicredit stanzia cinque miliardi per le Pmi. Bmp ha creato l’Euromutuo, vincolando il tasso d’interesse a quello della Banca Centrale Europea e non all’Euribor. Sono tutte iniziative positive che dimostrano un atteggiamento più attento delle banche verso clientela e risparmiatori.
Resta al momento solo il problema di una ricapitalizzazione non invasiva, perché sarebbe veramente grave che grandi banche diventassero preda di Fondi sovrani o di altre realtà. Guardando agli attuali valori dei titoli in Borsa, nonostante alcuni “rimbalzini” non determinanti, non sembra proprio che ci sia molto da discutere sull’intervento “soft e a tempo” del Governo.