Ministro Sacconi, le ultime vicende che hanno coinvolto i sindacati confederali (dalle polemiche sulla riunione a palazzo Grazioli alla separazione sullo sciopero dell’università) hanno di fatto rimarcato la divisione tra i sindacati stessi. Si è rotta definitivamente l’unità d’azione sindacale?

Io spero naturalmente che non si sia arrivati ad una rottura duratura. Si tratta però di auspicare che la ricomposizione dell’unità sindacale avvenga sul terreno della modernità. Se l’unità è dentro la modernità è senza dubbio un fattore che può accelerare il cambiamento del paese; una malaugurata unità nella conservazione costituirebbe il peggior freno al cambiamento stesso. Piuttosto di un’unità nella conservazione e nella resistenza al necessario cambiamento, è allora meglio avere oggi un sindacato in cui emergono posizioni innovative, le quali avranno probabilmente in un futuro l’effetto di trascinare anche coloro che si sono ancora ancorati su posizioni conservatrici.



Uno dei problemi fondamentali in questo momento di crisi è la tutela dei lavoratori; per fare questo si dice da più parti che sarebbe necessario estendere gli ammortizzatori sociali a tutti i lavoratori precari, quale che sia il loro tipo di contratto. Cosa sta facendo e cosa pensa di fare il governo a tutela dei lavoratori atipici, particolarmente esposti agli effetti negativi della crisi?



 

Noi ci siamo ispirati a un criterio fondamentale, che è quello dei meriti e dei bisogni. Dobbiamo pensare insieme di proteggere attivamente tutti coloro che perdono il lavoro, integrando quanto più il reddito (si deve trattare di persone che hanno lavorato, per avere l’integrazione del reddito) e integrando ulteriormente questo con un forte investimento nelle loro competenze. Per questo noi allargheremo le cosiddette casse integrazione in deroga, che però si fondano su accordi con le regioni circa l’investimento contemporaneo di esse proprio sulle competenze di chi ha avuto interrotto il posto di lavoro. Investimento che deve essere quanto più semplice e quanto più efficace. Le regioni sono chiamate tutte a evitare, come al solito, di soddisfare solo i formatori. Oggi più che mai, in questa grande crisi che è crisi di cambiamento, dobbiamo investire sulle competenze delle persone.



Ha parlato prima anche di investimento nei meriti: cosa significa?

Significa che sfruttiamo la detassazione dei salari aziendali, perché dobbiamo favorire quanto più la collaborazione tra lavoratori e imprenditori, che si deve tradurre anche in un collegamento tra i salari e i risultati dell’azienda. E questo maggiore salario, che a vario titolo viene corrisposto in sede aziendale e che si aggiunge al contratto nazionale, deve essere ancora detassato, con la detassazione al 10%, la cui sperimentazione abbiamo avviato in questi mesi.

Le tutele contrattuali, cioè quelle stabilite dalla contrattazione collettiva nazionale, di I e II livello, sono a suo avviso sufficienti?

Io penso che noi dobbiamo cambiare il modello contrattuale, e l’impostazione del nuovo modello contrattuale concordata finora tra Cisl, Uil e Confindustria, e che si sta allargando ad altre sigle sindacali e ad altre organizzazioni di datori di lavoro (commercio, artigianato, agricoltura etc.), sono certo che sia un’impostazione che favorirà forme di collaborazione fra le parti sociali anche nel territorio, come quelle ipotizzate attraverso agli organismi bilaterali. A questi organismi dobbiamo riconoscere, in sussidiarietà, anche molte funzioni di regolazione e organizzazione – non di gestione – di servizi alle persone attive.

In quest’ottica di sussidiarietà, cui ora accennava, come valorizzare le reti, la prossimità al territorio, e il privato sociale?

Il privato sociale è una componente fondamentale, e credo che questo cambiamento ne esalterà la funzione. Sono infatti convinto che si tratti di un cambiamento che spazzerà via tutto il nichilismo deresponsabilizzante, che è stata poi la conseguenza fondamentale del lungo Sessantotto italiano. Ben venga questa crisi, dunque, perché, spazzando via questo nichilismo deresponsabilizzante, solleciterà  la responsabilità nonché la libera scelta della persona, la sua capacità cioè di scegliere, ad esempio, tra formazione buona e formazione cattiva, tra le diverse possibilità che ha di fronte a sé. Allora noi abbiamo bisogno di risposte plurali, e abbiamo bisogno di un regolatore, pubblico o anche privato sociale (penso agli enti bilaterali), che però cerca le migliori soluzioni, e cerca di offrire una pluralità di soluzioni alla persona.

Si tiene oggi l’assemblea nazionale della Compagnia della Opere, dal titolo «Il lavoro è un’opera». Una realtà come la CdO, concretamente, cosa può fare e come può servire il bene comune in un’epoca di crisi?

In un momento di crisi il ruolo della Compagnia delle Opere è a mio avviso importantissimo, perché, come ho detto, la crisi spazza via come una grande burrasca quanto di negativo si era prodotto, e riconduce ai valori veri, ai valori che contano, nel lavoro e nell’impresa. Riconducendo ai valori veri, dà la forza per superare la crisi. Noi dobbiamo proprio mobilitare le persone e le famiglie in questa grande crisi, nella convinzione che non tutto il male viene per nuocere, e che si aprono grandi e nuove opportunità. Questo ottimismo della ragione e dei valori deve essere portato anche da chi ha saputo fare reti di imprese, ha saputo mettere in rete i lavoratori e le imprese, dando al lavoro di ciascuno e all’impresa di ciascuno quel significato più alto che non possono non avere.