Lo scorso fine settimana si è tenuto a Washington il tanto atteso vertice del G20 per affrontare la crisi finanziaria ed economica. Si trattava di un summit molto necessario. Siamo in un mondo dove l’economia si muove per aspettative e gradi di fiducia, che sono molto volatili in tempi di crisi. Il vertice e la foto sono state molto necessarie. Ma non sufficienti. I mercati hanno aperto in ribasso la giornata di ieri. Prevale una certa sfiducia, come se i piani di attuazione previsti non diventassero effettivi. I mercati non hanno tutti i torti.
Vediamo prima gli aspetti positivi. La crisi attuale ha molte cause, come la bolla immobiliare e i mutui subprime, l’intossicazione da prodotti finanziari a cominciare dai debiti cartolarizzati di scarso valore, la connivenza delle agenzie di rating e dei regolatori con pratiche finanziarie al limite della legalità, la politica monetaria che ha favorito un ambiente propenso a canalizzare gli eccessi di liquidità verso prodotti finanziari complessi e innovatori, ecc. Molte cause che, in realtà, hanno generato un problema di fiducia nelle economie, fiducia che è il motore di qualsiasi costruzione economica e finanziaria.
In un contesto di mancanza di liquidità e crisi, dove nessuno si fida di nessuno, la prima responsabilità dei governanti era di trasmettere un messaggio di fiducia ai mercati e alla società. Questo è stato in gran parte fatto, a cominciare dal punto di partenza indicato dal summit.
Il vertice ha stabilito un ambizioso piano di azione in diversi ambiti: rafforzamento della trasparenza e della responsabilità, miglioramento della regolazione, supervisione prudenziale, gestione dei rischi, promozione dell’integrità dei mercati finanziari e rafforzamento della cooperazione internazionale.
Ciascuno di questi ambiti si presenta come un’opportunità per puntellare il sistema finanziario internazionale e correggere i vizi che hanno portato al suo attuale collasso. È stato stabilito che molte delle misure andranno messe in pratica entro il 31 marzo 2009, che è sicuramente una data record data l’ampiezza di alcune misure e la supposta approvazione attraverso il consenso che dovrebbe realizzarsi sulle stesse da parte del G20.
I risultati del vertice sono senza dubbio incoraggianti. Nonostante la sola esistenza del vertice fosse già un bene necessario, il fatto di aver stabilito un piano di azione garantisce che ci si sta muovendo nella giusta direzione. Tuttavia, i risultati impongono anche alcuni seri interrogativi: alcune delle misure proposte non arriveranno troppo tardi? Non c’è il rischio che il 31 marzo alcune delle misure più emblematiche non possano raccogliere il necessario consenso, riducendo la fiducia rilanciata nello scorso fine settimana? I politici saranno realmente disposti a sottomettersi agli accordi internazionali che si concretizzeranno nei prossimi mesi, lasciando da parte i propri interessi nazionali ed elettorali? Le misure annunciate saranno sufficienti per riportare ordine e fiducia?
Questi interrogativi pongono delle riserve sui risultati del vertice e solamente il tempo potrà dire il suo valore effettivo. Al di là degli interrogativi, i risultati del summit incontrano due gravi problemi. In primo luogo, la trasformazione delle buone intenzioni in piani coordinati tra i Paesi. Il vertice non stabilisce un meccanismo né un’autorità che diriga o coordini i piani, che presumibilmente dovranno essere coordinati. In questo modo esiste un’eccessiva delega di funzioni ai singoli Paese. Alla fine, se ogni Paese fa quello che vuole, la divisione non farà altro che alimentare la sfiducia nel mercato. Ci saranno Paesi che attueranno misure nella direzione corretta e altri in quella opposta.
Il secondo problema è che l’attuale crisi non è solamente un problema tecnico di carattere finanziario. Mostra anche un disordine culturale delle nostre società e questa è una sfida che nessun vertice potrà affrontare adeguatamente. La fiducia è ultimamente una dimensione dell’essere umano che può manifestarsi o meno, dipendendo dal modo in cui si concepisce se stessi e la società in cui si lavora, si consuma, si investe. Le misure disegnate dall’alto, seppur necessarie, non potranno mai sostituirsi al cambiamento che la propria società deve fare.
I governanti devono guidare un processo che realmente non dipenda solamente da loro. L’intera società deve reagire. Che la società sia rapida ad approfittare dell’opportunità che la crisi offre! Come quando il mondo, dopo la seconda guerra mondiale, ha assistito alla ricostruzione europea: è partita dal profondo desiderio sociale di cominciare di nuovo e da alcuni grandi leader all’altezza della situazione, e che non hanno atteso il benestare elettorale o i sondaggi favorevoli per darsi da fare.
Ora siamo in un momento chiave per fare di più della necessaria foto del G20. Speriamo che gli attuali leader possano essere all’altezza. Anche su questo ci sono dubbi.