Tremonti ha tenuto ieri la prolusione all’inaugurazione dell’anno accademico in Università Cattolica e ha richiamato un pensiero dell’allora card. Ratzinger, formulato nel saggio “Church and economy” del 1986, dicendo che l’attuale crisi fa avverare «la profezia secondo cui l’economia che vede il declino della disciplina avrebbe portato le stesse leggi del mercato al collasso e all’implosione». Ma la vera anomalia del nostro paese, fa notare Luigi Campiglio, è la perdurante mancanza di una politica per la famiglia. «Il governo – pur tra altri buoni e condivisibili provvedimenti – si è dimenticato della famiglia. Spiace dirlo, ma è come se tutti i governi, rispetto alla famiglia, fossero “grigi”»
Professor Campiglio, «un’economia che ha perso il contatto con la realtà e con la sua originaria dimensione etica»: lo ha detto ieri il ministro Tremonti, richiamando anche il pensiero dell’allora cardinale Joseph Ratzinger, quando scrisse sulle cause meta economiche di una possibile crisi del mercato. Che ne pensa?
È un’analisi che condivido. L’esempio più lampante è quello della denuncia, da parte degli stessi operatori sul campo, dell’eccesso di self-interest tramutatosi in avidità esasperata. Più in generale non si dà crescita economica continua e stabile senza un qualche sistema forte di valori morali che dia ancoraggio solido alle decisioni economiche. Attraversiamo una crisi di fiducia, andiamo ripetendo, ma la fiducia è precisamente un fattore morale.
Non da oggi Tremonti sta puntando il dito contro la piattaforma finanziaria, frutto esasperato della globalizzazione, sulla quale si è innestata la deriva della “tecnofinanza”.
È un fatto: gli strumenti di gestione e diffusione del rischio sono implosi e anziché portare ad una diversificazione del rischio, nel modo che tutti quanti insegniamo, hanno prodotto effetti moltiplicativi giganteschi. Abbiamo assistito alla parabola di una finanza sofisticata partita da premesse tradizionali ma che ha finito per trasformarsi in “mostri”, per usare un’immagine cara a Tremonti.
Veniamo alla situazione italiana. In un suo articolo apparso su ilsussidiario.net il 20 ottobre lei aveva detto che compito dello Stato nella presente situazione era produrre certezze. A che punto siamo?
L’unica nostra certezza in questo momento è che nessuna banca fallirà. Il che non è poco, è quantomeno la certezza che non ci sarà il disastro. Ma è una certezza “negativa”, della quale manca un risvolto positivo, costruttivo di fiducia nel lungo termine.
L’aiuto alle imprese, realizzato con il rafforzamento patrimoniale delle banche, non incide sul deficit, ma con le famiglie la situazione è più complicata. Qual è la sua opinione?
Il governo – pur tra altri buoni e condivisibili provvedimenti – si è dimenticato della famiglia. Spiace dirlo, ma è come se tutti i governi, rispetto alla famiglia, fossero “grigi”. Non vorrei che apparisse una mia fissazione, ma impostare una politica di sostegno alla famiglia come soggetto centrale dell’economia in Italia sembra quasi proibito. C’è di mezzo una questione di valori, ma se uno non crede a questi valori esiste sempre e comunque l’efficacia di una politica fiscale dedicata. E una politica fiscale è sempre misurabile.
A cosa si riferisce in particolare?
C’è un solo paese che finora non è stato investito dalla recessione al pari degli altri paesi europei ed è la Francia. Come si spiega? È un paese più robusto e dinamico di Italia e Germania, ha una capacità di risposta agli choc senz’altro minore degli Stati Uniti ma certamente maggiore dell’Italia. Ma soprattutto fa una politica molto più centrata sulla famiglia. La famiglia non è un soggetto ornamentale, ma l’unità decisionale economica fondamentale, il fattore che può spingere realmente la crescita.
Perché?
Non si esce dalla crisi senza equità. Per introdurre equità occorre coniugare il merito con il bisogno. Una politica centrata sulla famiglia garantisce equità, perché la famiglia è il luogo che più di ogni altro distribuisce sulla base del bisogno e non del merito. Il merito è centrale nel mercato, ma le risorse all’interno della famiglia vengono distribuite in base al merito? Per fortuna no. La Francia, con la sua politica molto più centrata sulla famiglia, risulta molto più attenta, aperta e disponibile verso i bisogni.
Cosa bisogna fare?
Non smetto di dire che introdurre il quoziente familiare sarebbe decisivo sul piano economico ed equo sul piano sociale. Vede, i tempi di crisi sono anche opportunità di cambiamento, che bisognerebbe saper sfruttare.
Il nostro debito pubblico non consente spazi di manovra…
Ma rientra nelle regole scritte dell’Europa che i vincoli legati al disavanzo pubblico possono, d’accordo con il consenso del parlamento Ue, essere resi più elastici. La certezza che questa crisi duri poco tempo non è suffragata dai fatti. Anche il Giappone prima o poi uscirà dalla crisi, ma vi è dentro da quindici anni. Noi da quindici anni abbiamo un problema di crescita lenta e di diminuzione della produttività. Immaginiamo che cosa può voler dire la crisi economica per un paese che da dieci è in fase di ristagno.
Qual è il fondamento di una politica di lungo periodo capace di traghettarci fuori dalla crisi?
Qualche tempo fa ad un convegno di imprenditori chiesi per quale motivo l’iPod, che ha cambiato la vita dei giovani in tutto il mondo per le sue caratteristiche di innovazione, originalità e bellezza, non è stato qualcosa che ha rilanciato la nostra industria. Ecco, l’iPod è un esempio di quello che avremmo potuto fare e non abbiamo fatto. Non saremmo certamente riusciti a creare l’Ibm, forse nemmeno la Apple, ma l’iPod era alla nostra portata, se pensiamo che il brevetto viene dalla Germania… Occorrono la capacità di vedere lontano e quella di “inciampare, cadere e rialzarsi”. Se sono capace di rialzarmi, anche se cado non sono costretto a chiedere aiuto allo Stato.
Sono poche le novità uscite dal G20, eccetto forse l’appuntamento per il prossimo vertice. Anche istituzioni finanziarie come Fmi e Banca Mondiale appaiono appannate nei compiti e nella governance. Andrebbe cambiato qualcosa?
Andrebbe cambiato tutto: non sono più adeguate. Sono istituzioni figlie della loro epoca che è quella del 1945 e che oggi si muovono in un contesto completamente mutato. Il G20 è stato in buona sostanza un prender tempo, e rispetto a che cosa? Al fatto che il nuovo governo americano non è ancora insediato. Al di là della retorica della globalizzazione, viviamo in un mondo che ha bisogno di una leadership mondiale che sul piano economico può essere solo quella degli Usa.
Questa crisi economica non rimette in discussione proprio la leadership Usa?
Ma potenza leader non vuol dire potenza egemone. Oggi può avvenire, come sta avvenendo, che gli Usa siano in recessione, che la Cina sia in “crisi” ma solo perché cresce del 7% anziché del 12%, che gli equilibri mondiali sono ormai completamente cambiati e che non si può pensare di riservare un posticino nell’angolo alla Cina quando ormai è una potenza mondiale. Ci sono molti tipi di leadership: di tipo autoritario per esempio, e questo è accaduto in passato, anche da parte degli Stati Uniti, ma ci sono anche leadership basate sull’autorevolezza e questa è figlia della legittimazione. Agli Usa spetta oggi questo tipo di leadership, figlia di una legittimazione mondiale, che va conquistata sul campo dando peso e rappresentanza a chi oggi ne è sprovvisto.