Il meeting dei G20 che si è tenuto a Washington nello scorso weekend è stato salutato con molta enfasi, al punto che alcuni hanno addirittura ipotizzato che esso possa costituire il primo passo verso la creazione di un nuovo Bretton Woods.

In realtà il meeting dei G20 non è nemmeno lontanamente paragonabile all’accordo di Bretton Woods del 1944. In quell’occasione sono state prese decisioni storiche e soprattutto concrete. Da quella famosa conferenza è infatti emerso un sistema di cambi fissi, un sistema di controlli ai flussi di capitali e due istituzioni finanziarie (il Fondo Monetario Internazionale e la Banca Mondiale) che hanno recitato un ruolo da protagonista (nel bene e nel male) nell’economia mondiale negli ultimi 50 anni.



Il G20 non ha creato a oggi nulla di concreto, se non ribadire la bontà delle azioni già intraprese dai vari Paesi per fronteggiare la crisi e riaffermare la centralità della finanza nelle economie avanzate.

È vero che quello appena concluso dovrebbe essere solo il primo di una serie di meeting atti a stabilire la nascita di una forma di cooperazione allargata tra le principali economie internazionali. Tuttavia le premesse poste a Washington non sono le migliori.



I vari Paesi sembrano procedere in ordine sparso nella gestione della crisi. Nonostante sia ormai evidente a tutti che la crisi finanziaria e reale abbia natura globale, manca una azione coordinata da parte dei singoli governi. Il caso europeo è emblematico: di fronte alla crisi generalizzata del sistema bancario, i singoli Paesi hanno adottato misure simili ma non concertate né coordinate, perdendo così un’occasione storica per agire in modo realmente efficace da una parte e per dare ai mercati un segnale forte dall’altra.

Se vogliono affrontare il problema della stabilità del sistema finanziario internazionale in modo deciso e incisivo, i Paesi del G20 devono trovare un accordo che costituisca una istituzione in grado di rendere operative le decisioni prese. Non è infatti pensabile che un sistema finanziario internazionale possa essere gestito da un’istituzione (il G20) che non ha un preciso mandato operativo, si riunisce saltuariamente e risponde a criteri più politici che economici.



Si pone a questo punto la questione di quale istituzione possa ricoprire questo ruolo. Due sono le possibilità: la prima prevede la creazione di una istituzione internazionale ad hoc, la seconda prevede la riforma di un’istituzione esistente. Delle due opzioni la seconda sembra quella maggiormente percorribile, dato che esiste già da tempo un desiderio condiviso nella comunità internazionale di riformare in modo deciso buona parte delle istituzioni internazionali.

Tra le istituzioni esistenti due sembrano i candidati “naturali”: il Financial Stability Forum (FSF) da una parte e il Fondo Monetario Internazionale dall’altra.

Il Financial Stability Forum, creato dal G7 in seguito alla crisi asiatica, ha il compito di valutare le fonti di vulnerabilità del sistema finanziario internazionale, indicare le azioni necessarie e promuovere la cooperazione tra i paesi.

Il Fondo Monetario Internazionale ha un ruolo maggiormente operativo, potendo estendere linee di credito a breve e lungo termine ai paesi colpiti da crisi finanziarie.

La crisi attuale ha palesato le evidenti difficoltà delle due istituzioni. Il FSF, non avendo un ruolo operativo, manca dell’incisività necessaria per affrontare crisi finanziarie della portata di quella a cui stiamo assistendo. D’altro canto il FMI non è esente da aspetti problematici. Le risorse a sua disposizione (circa 250 miliardi di dollari) sono relativamente scarse se rapportate alla dimensione degli interventi effettuati dai vari governi nelle scorse settimane e sarebbero insufficienti se l’intervento fosse richiesto da un’economia emergente di medie-grosse dimensioni (ad esempio la Turchia).

Questo spiega la richiesta avanzata da numerosi esperti di incrementare le risorse finanziarie del FMI per meglio attrezzarlo a gestire la crisi finanziaria. Tuttavia il problema principale del Fondo non è di natura economica quanto politica.

Sinora il FMI è stato finanziato prevalentemente dai Paesi avanzati e ha al contempo erogato finanziamenti quasi esclusivamente a paesi emergenti e in via di sviluppo. La crisi attuale presenta caratteristiche opposte: è una crisi originata nella maggiore economia del mondo (gli Usa) e finanziata con i surplus di parte corrente di numerosi Paesi emergenti, in particolare asiatici.

Di fronte ad uno scenario di questo tipo, il FMI deve allargare il proprio azionariato anche alle principali economie emergenti (Cina in primis); per fare questo tuttavia deve concedere a queste ultime uno spazio maggiore nel proprio board e nel proprio direttivo. Uno scenario impensabile 10 anni fa quando il FMI organizzava pacchetti di finanziamenti straordinari per i paesi del Far East colpiti dalla crisi.

Le discussioni relative alla riforma del FMI stanno andando avanti da anni; la crisi finanziaria attuale costituisce una buona opportunità per realizzare queste riforme. Se il G20 riuscirà nell’intento sarà il primo passo concreto verso la soluzione della crisi.