Nel novembre del Duemila, pochi giorni dopo la contestata vittoria elettorale di George W. Bush su Al Gore, il senatore Phil Gramm riuscì a inserire, in coda alla Finanziaria per 2001 (non meno complessa dei “lenzuoloni” di casa nostra) il provvedimento che, in pratica, aboliva la separazione tra banche commerciali e banche di investimento esistente fin dal ‘33, meglio nota come lo Steagall-Glass Act.
Il presidente Bill Clinton, a un mese dal trasloco dalla Casa Bianca, approvò senza modifiche la Finanziaria come è d’uso per i presidenti uscenti. La penna d’oro usata da Bill Clinton per l’occasione oggi si trova, incorniciata, alle spalle della scrivania di Sandford Weill, il banchiere che a cavallo degli anni Novanta creò, a suon di acquisizioni aggressive, l’impero di Citigroup, quella che fu per alcune stagioni l’istituzione finanziaria più potente del mondo. Ma di quella grandezza, oggi resta solo quest’eredità: Citigroup è “too big to fail”, “troppo grande per fallire”. Gli Usa, anzi l’intera economia globale, non possono permettersi una frana di quelle proporzioni.
Per questo, nel novembre del 2008, pochi giorni dopo la trionfale vittoria elettorale di Barack Obama, il segretario del Tesoro uscente, Henry Paulson, e quello in arrivo, Timothy Geithner, hanno messo a punto il secondo piano di salvataggio di Citigroup in un paio di mesi: 20 miliardi di nuovi capitali che vanno ad aggiungersi ai 25 già versati; la garanzia su 360 miliardi di toxic assets che stanno affiorando dalle viscere dei bilanci di quello che, non più tardi di 18 mesi fa, una lunga inchiesta a puntate del New York Times indicava come il simbolo della golden age, l’età dell’oro per i nuovi ricchi della globalizzazione di cui Sandy Waill, figlio di un operaio polacco emigrato a Brooklyn, era il simbolo.
Anche stavolta, come a fine Duemila, il presidente uscente firmerà senza far discussioni. Anche se la seconda iniezione di capitali in Citigroup segna il passo, forse decisivo, nella direzione opposta alla società voluta dai neo-con o dalla scuola di Chicago: la nazionalizzazione del sistema bancario americano. Non è più vero, come sosteneva Milton Friedman che «lo Stato è il problema». Al contrario, si fa strada la convinzione che “lo Stato è l’unica soluzione che ci resta”.
Nel fine settimana, infatti, è stata valutata e presto scartata la proposta dei vertici di Citigroup: un appello del mondo politico ai mercati a garanzia della stabilità della banca. Sia Paulson che Geithner hanno concordato sul fatto che un annuncio del genere era comunque troppo poca cosa rispetto alla situazione. E poi, che dire della sensibilità del board di Citigroup che non ha ancora cancellato il sistema i bonus incentivante per gli stipendi del top management ma ha già annunciato tagli che riguardano 52.000 dipendenti, il 15% della forza lavoro?
È stata anche vagliata l’ipotesi i garantire la liquidità attraverso un intervento a protezione dei prodotti finanziari “critici”. La stessa terapia, adottata in passato, aveva dato buoni frutti nel breve. Ma si era rivelata inefficace, a mano a mano che emergevano nuovi “buchi” nel sistema, devastante, dei prodotti finanziari derivati montati dalle grandi banche, Citigroup in particolare.
Perciò, alla fine, si è scelta una soluzione drastica sul piano politico e psicologico, un alto passo in avanti nel capitale: il Tesoro, che si è fissato l’obiettivo di un dividendo pari all’8%, non sarà un banchiere di Stato così come li abbiamo conosciuti nella Prima Repubblica. Ma nemmeno un socio dormiente. I mercati chiedono la garanzia pubblica per verificare l’effettiva volontà di voltar pagina e cambiar politica senza occultare (o comunque chiudere entrambi gli occhi) di fronte a una situazione su cui gravano, tra l’altro, enormi conflitti di interesse e legami occulti con hedge fund, private equity e altri protagonisti di quell’età dell’oro che si è trasformata nell’età del piombo.
Per queste ragioni, le scelte di questo weekend potranno essere giudicate storiche, se verranno rispettate le premesse. È quello che crede Wall Street, a giudicare dall’intensità del rialzo. È l’effetto che si può generare sul mercato dei bond: Goldman Sachs e Citigroup hanno già annunciato emissioni garantite dalla Federal Deposit Insurance Corp. I bond, grazie alla garanzia della FDIC, godranno di un rating «AAA» e permetteranno agli istituti di credito di tornare a raccogliere finalmente fondi sul mercato obbligazionario.
Il peggio è passato? Francamente no, meglio non crederci. Ma forse è la strada giusta: oggi, rimettere al centro dell’azione l’autorità statale serve a mettere sotto controllo la superbia degli ideologi del mercato e a riportare al centro dell’azione gli uomini. Non è una risposta buona per tutte le stagioni. Ma, forse, per questa sì.