La prolusione del Ministro Giulio Tremonti, letta in occasione dell’inaugurazione del nuovo Anno Accademico presso l’Università Cattolica di Milano, ha suscitato un ampio dibattito che investe l’oggetto e il metodo della scienza economica, analizzati non più unicamente nell’angusta dimensione mono-disciplina e neppure in quella, talvolta confusa e pressappochista, di chi giustappone in modo inter-disciplinare concetti quali etica ed economia, bensì nel tentativo, piuttosto inedito e di sicuro interesse, dato dal metodo trans-disciplinare. Si tratta di un procedere che intercetta alcuni concetti fondamentali del discorso economico e li analizza a partire da differenti punti di vista.



In tal modo, Tremonti giunge a criticare l’approdo di un determinato filone del pensiero economico, in forza del quale l’economia si sarebbe «illusa di prevedere in vitro i fenomeni sociali esattamente come i fenomeni naturali». È questo il primo di due problematici elementi teorici sollevati con originalità dall’attuale ministro: qual è il metodo dell’economia? Che tipo di scienza è la scienza economica?



Non è certo questa la sede per sviluppare rigorosamente tali questioni epistemologiche, rileviamo soltanto che esiste un’importante differenza fra le scienze naturali e le scienze umane. La scienza umana ha a che fare con l’uomo. Le scienze del comportamento umano, in particolare, hanno come effetto l’uomo stesso e noi, in effetti, possiamo conoscere il comportamento umano dall’esterno, allo stesso modo in cui conosciamo i fenomeni della sfera naturale. Tuttavia, possiamo conoscere il comportamento umano anche dall’interno, perché siamo uomini e viviamo dall’interno l’azione. Per questo non ci limitiamo a conoscere dall’esterno il comportamento e a prenderne atto.



Ecco perché l’ambito delle leggi a priori nelle scienze che studiano l’azione umana è assai più ampio e complesso. Non è un caso che uno dei capolavori della Scuola austriaca di economia, il libro di Ludwig von Mises The Human Action, inizi con una teoria dell’azione umana per poi delimitare il campo dell’azione catallatica, cioè dell’azione propriamente economica.

Il secondo elemento teorico avanzato da Tremonti riguarda l’esigenza che i contenuti etici della riflessione sull’azione umana incontrino i contenuti scientifici della riflessione economica. A tal riguardo, il nostro cita un saggio del prof. Ratzinger del 1985: Church and Economy. La tesi dell’allora Cardinale si può riassumere in questo modo: il declino del riferimento morale della disciplina economica avrebbe portato le leggi stesse del mercato al collasso. Come dire, per usare un aforisma di Luigi Sturzo, «L’economia senza etica è diseconomia».

È stato proprio Luigi Sturzo a scrivere nel 1958 un saggio tra i più significati in questa prospettiva: Eticità delle leggi economiche. Qual era il punto sottolineato da Sturzo? Dal momento che ogni attività autenticamente umana, in quanto razionale, è pervasa di eticità, anche nelle leggi dell’economia capitalistica si deve trovare l’elemento razionale, poiché tale elemento non può mancare in nessuna struttura umana di carattere associativo, anche se non mancheranno le infiltrazioni di pseudorazionalità e di irrazionalità che tendono ad annullare, o comunque ad attenuare, il carattere razionale ed etico del sistema.

Come dire che l’economia senza etica non sarebbe neppure configurabile come economia, piuttosto saremmo nel campo della “diseconomia”. Con ciò non si intende affermare che in caso di “diseconomia” non si ottenga un utile, quanto, piuttosto, che quell’utile è frutto della frode, della malversazione, dell’inganno e non dell’autentico agire economico.

Ebbene, l’economia sociale di mercato proposta dal Ministro Tremonti è figlia della tensione morale che spinse gli esponenti “ordoliberali” della Scuola di Friburgo a interrogarsi su quale nuovo ordine per il nuovo assetto internazionale uscito dalla Seconda Guerra Mondiale.

Oggi il problema si ripropone, certo con meno drammaticità, sebbene con la stessa urgenza, e impone l’esigenza di ripensare la conformità della disciplina economica con le scienze umane e di distinguere lo Stato come arbitro, il mercato come campo di gioco e gli operatori come parti del gioco.

A questo punto, una volta che ciascun attore recita la propria parte si intravedono anche i possibili antidoti contro il rischio che enormi concentrazioni economiche private possano degenerare in un sistema di collettivismo pubblico.

È questo il principale problema nell’agenda del governo mondiale; un problema che chiede di essere risolto con la massima urgenza se non si voglia correre il rischio di sacrificare il dinamismo economico al ristagno degli accordi collettivi, figli di una logica corporativa e di sacrificare le libere scelte individuali alla “presunzione fatale” del grande pianificatore.