Ci troviamo nella dolorosa fase di crollo della più grande bolla speculativa del settore immobiliare statunitense che si ricordi. I prezzi delle abitazioni vanno scendendo rapidamente dai livelli insostenibili che avevano raggiunto tra 1997 al 2006. Le aspettative incontrollate di un innalzamento dei prezzi, assieme a tassi d’interesse bassi, hanno portato ad una pericolosa corsa verso il basso dell’ammontare della caparra per l’acquisto di una casa, tradizionalmente improntato ad una certa prudenza, ossia quel meccanismo capitalistico vecchio stile grazie al quale sia i compratori di case che le banche prestatrici erano parimenti protetti dai cali imprevedibili nel valore delle case, o dall’eventuale incapacità dei proprietari di alloggi di pagare le rate del prestito.
Eppure, la nostra brutalizzata economia sopravvivrà al crollo, dopo un grande spavento e portando con sé alcune cicatrici.
Questa volta non si è trattato di una bolla speculativa del mercato azionario. L’economia stava andando bene, pur colpita dalle proibizioni interne sull’esplorazione petrolifera, e prosperava meravigliosamente grazie al motore dell’innovazione e delle nuove tecnologie, con una rapida crescita della produttività.
A differenza della bolla del mercato azionario degli anni ‘90, che creò le forme rivoluzionarie del settore dot-com, della biochimica, della comunicazione computerizzata e della ricchezza basata sul sapere, questa bolla è consistita in una frenesia nel consumo degli alloggi, basata su un capitale netto insufficiente da parte di proprietari di casa, banche prestatrici, maghi della riorganizzazione ipotecaria e assicuratori. Ma la casa di carta a un certo punto è crollata.
Ora tutti cercano qualcuno da incolpare; non affannatevi troppo, il nemico siamo noi. Con un sostegno popolare bipartisan, il Congresso ha passato 70 anni a creare una legislazione volta a rendere più facile la possibilità per le persone di essere proprietarie delle proprie case. La Fannie Mae fu una creazione del New Deal nel 1938, e nel 1968 divenne un’impresa (gestita e di proprietà di azionisti) a “profitto privato” sponsorizzata dal governo. Per darle un po’ di concorrenza, nacque la Freddie Mac, nel 1970. Entrambe erano esenti dalle imposte statali e locali, così come dalla supervisione della Securities and Exchange Commission, ed erano da tutti ritenute implicitamente sotto la tutela, in ultima analisi, del Tesoro degli Stati Uniti.
Poi è stato il momento del Tax Relief Act del 1997, sostenuto da entrambi i partiti, che ha permesso a voi e a me di trarre un profitto esentasse fino a 500.000 dollari dalla rivendita dell’abitazione, dopo due anni di possesso, a un altro aspirante a quel mezzo milione di dollari (nessun altro asset – che si tratti di fabbriche, di azioni o di brevetti – ha potuto beneficiare di questa facilità nella realizzazione di plusvalenze).
Poi, sotto le crescenti pressioni da parte dell’amministrazione Clinton, la Fannie Mae estese i propri mutui ipotecari ai redditi bassi o modesti, mentre al contempo le istituzioni finanziarie esercitarono la loro vigorosa pressione dal basso per ulteriori prestiti subprime. (S. Holmes, «New York Times», settembre 1999).
Abbiamo fatto del nostro meglio per aiutare i poveri e non ci siamo riusciti. Poveri e ricchi hanno contribuito insieme alla creazione di un enorme “piano Ponzi” senza che vi fosse un vero e proprio responsabile della trama – siamo stati noi, sono stati i nostri rappresentanti politici, i maghi della finanza e del governo, i complici nella privatizzazione degli utili della Fannie Mae e della Freddie Mac e della socializzazione delle loro perdite.
Credo che la conclusione di questo crollo dipenderà da come il Tesoro si muoverà direttamente per ricapitalizzare gli istituti bancari. Personalmente, ritengo che il modo migliore per farlo consista nell’acquisto diretto di nuove obbligazioni, con un termine non superiore ai cinque anni, convertibili in azioni senza diritto di voto (dal Tesoro) a prezzi ben al di sopra del valore attuale delle singole banche, ed esercitabili soltanto dopo un anno. L’idea è quella di fornire una immediata immissione di contanti e un’ampia possibilità per fondi privati di fluire nella ricapitalizzazione delle banche, e allo stesso tempo di consentire al martoriato Tesoro degli Stati Uniti di recuperare i soldi dei contribuenti.
Dal momento che la nostra passata follia ci impone oggi di salvare gli investitori, che dipendevano imprudentemente dal continuo aumento dei prezzi delle abitazioni per essere compensati, saremo noi a preparare il terreno per la prossima bolla speculativa dell’edilizia abitativa, la più grande di tutte. Ma essa non si verificherà fino a che l’attuale calo dei prezzi degli alloggi abbia fatto il suo corso, quando non sarà più così fresco nella nostra memoria.
Prevedere esattamente quando avverrà è altrettanto impossibile quanto prevedere quando questa crisi giungerà al suo punto più basso.
Noi economisti non siamo bravi a fare delle previsioni, ma siamo in grado di raccontare bene le storie dopo aver assistito a dei grandi eventi e averci ragionato su, e siamo capaci di fare un po’ di econometria. Diversamente, saremmo ricchi.
Quello che secondo me è più probabile che avvenga, dopo che ci saremo ripresi da questa débâcle immobiliare-finanziaria, è il ritorno dei flussi di capitale verso azioni, in particolare dei flussi con una maggiore attenzione sull’esaltante gamma di nuove tecnologie in rapido sviluppo, nelle quali il sapere è esploso a dispetto della frenesia immobiliare.
Una bolla speculativa in questo settore porterà la sua tradizionale quota di fallimenti – nessun rischio, nessun guadagno – ma di sicuro alimenterà una serie di esperimenti innovativi nella gestione delle nuove tecnologie. E ci saranno svolte che creeranno nuovi grandi aumenti di ricchezza, la fonte ultima del miglioramento economico umano.