«Una risposta senza precedenti ad una situazione senza precedenti», così il Presidente della Commissione Europea, Barroso, si è espresso nel presentare il piano di rilancio economico presentato mercoledì a Bruxelles. Ed in effetti si tratta di una azione concordata di politica fiscale espansiva su scala continentale che in passato non è mai stata allo studio, neanche dal punto di vista teorico. Come è noto, il pacchetto di misure prevede un intervento di politica fiscale pari a 200 miliardi di euro, circa l’1,5% del PIL dell’UE, di cui 170 miliardi di provenienza dei bilanci pubblici nazionali e 30 miliardi, pari allo 0,3% del PIL, a carico del bilancio UE e della Banca europea degli investimenti (BEI).



La dimensione dell’eccezionalità delle misure può essere compresa se guardiamo alle tesi prevalenti nell’ambito della stessa Commissione europea solo sino a qualche mese fa. Tradizionalmente, si è sempre sostenuto che, nell’Europa dell’euro, uno shock negativo di tipo simmetrico che colpisca tutti i paesi (come appunto la crisi in atto) dovrebbe trovare una risposta ottimale nella politica monetaria comune della Banca Centrale europea. Inoltre, data la decentralizzazione della politica fiscale in capo agli Stati membri, in Europa si è sempre diffidato della capacità di tale politica di fungere da stabilizzatore del ciclo economico continentale, a causa dei probabili ritardi nella implementazione della stessa, con il rischio di amplificare, anziché ridurre, le oscillazioni dell’economia (tecnicamente, si dice che la politica fiscale tende ad essere pro-ciclica, anziché, come dovrebbe essere nei desiderata del legislatore, anti-ciclica). Infine, è opinione diffusa che l’uso ripetuto della politica fiscale in funzione anti-ciclica tende ad appesantire negli Stati membri la situazione dei bilanci pubblici, in quanto tagliare le spese in una fase positiva del ciclo economico è politicamente complicato, con implicazioni negative nel lungo periodo per le prospettive di crescita del sistema.



Come e in che misura si giustifica un tale cambio di rotta?

Innanzitutto, la recessione incombente in Europa nasce da un problema legato al funzionamento del mercato del credito, situazione eccezionale che rende relativamente poco efficace l’azione di politica monetaria, in quanto la maggiore liquidità creata non è trasmessa alle imprese a causa del cattivo funzionamento del sistema creditizio. In secondo luogo, il piano previsto da Bruxelles è molto attento ad evitare i ‘rischi’ tipici della politica fiscale, ribadendo che le azioni messe in campo dal bilancio europeo e, soprattutto, dagli Stati membri, devono essere tempestive, e dunque iniziare a dispiegare i propri effetti già dai primi mesi del 2009; devono inoltre essere temporanee, in maniera tale che il peggioramento dei bilanci pubblici abbia natura transitoria e non strutturale. A tale riguardo, Bruxelles chiede sin da subito agli Stati la predisposizione dei nuovi piani di stabilità e convergenza, al fine di poter giudicare la congruità sia dell’azione espansiva di finanza pubblica che le caratteristiche del piano di rientro del deficit negli anni successivi.



Inoltre, continua a valere la proibizione per aiuti di stato di tipo tradizionale, ad esempio nel settore dell’auto o dell’edilizia, a favore di aiuti a carattere orizzontale finalizzati allo stimolo di attività di Ricerca e Sviluppo e innovazione nel campo delle tecnologie ‘verdi’, anche e soprattutto in campo edilizio. L’unica apertura di Bruxelles nel settore auto è per interventi concordati con la BEI volti ad erogare prestiti alle società automobilistiche e ai fornitori per finanziare produzioni innovative in tecnologie pulite e migliori prestazioni ecologiche, nonché l’invito rivolto agli Stati membri di possibili riduzioni delle tasse di registrazione e circolazione per le auto a bassa emissione di anidride carbonica (CO2). Nel settore edilizio, si ipotizza invece la possibilità di una riduzione strutturale dell’IVA.

Evidentemente, data la ridotta capacità del bilancio europeo, l’efficacia complessiva di tali manovre nello stimolare l’economia continentale passa in larga misura dalla capacità degli Stati membri di agire in maniera sincronizzata per stimolare le proprie economie, un dato tutt’altro che scontato se guardiamo alla situazione molto eterogenea dei Paesi sia in termini di effetti della crisi (ad esempio più grave nel settore immobiliare in Spagna e Regno Unito), sia in termini di saldi di finanza pubblica, situazione questa che impedisce ad esempio all’Italia un aggiustamento comparabile a quello che potranno permettersi altri Paesi, pena la punizione dei mercati finanziari in termini di maggiori tassi di interessi sui titoli del nostro debito pubblico. Vi è inoltre un serio dubbio sulla celerità con cui il Parlamento europeo, che andrà ad elezioni a giugno, sarà in grado di far fronte alla mole di nuovi provvedimenti legislativi che il pacchetto preparato dalla Commissione mette oggi sul tavolo della politica economica.

Esiste dunque il rischio di molte ombre in questo piano di rilancio economico varato da Bruxelles, ma indubbiamente si tratta del primo, serio e, in ultima analisi, credibile tentativo di utilizzo della politica fiscale su scala europea in chiave anti-ciclica che sia mai stato fatto, e dunque va apprezzato. Beninteso, in attesa del varo di titoli del debito pubblico europeo (gli eurobonds) gestiti direttamente da Bruxelles, una soluzione che avrebbe magicamente risolto tutti i problemi sin qui analizzati.