Per giudicare il piano anti-crisi presentato al termine del Consiglio dei ministri bisogna uscire dalle logiche interne e guardare al più ampio palcoscenico europeo. Francia e Germania, infatti, hanno già annunciato il loro sostegno alle relative industrie automobilistiche e soprattutto un’interpretazione meno restrittiva dei vincoli europei. Cosa che il governo italiano ha negato: quindi, la Fiat si troverà a dover navigare a vista nei marosi di un mercato già in crisi. Su Maastricht, stessa cosa: il rapporto deficit-Pil non si tocca perché il debito pubblico italiano non lo consente.
Prendiamo allora l’esempio britannico, il cosiddetto piano Brown da tutti giudicato il più efficace, per primo il premio Nobel per l’Economia, Paul Krugman. Ebbene, nonostante la grande stampa non stia a preoccuparsi di questi indicatori, i credit default swap sul debito britannico – assicurazioni sul rischio di fallimento – hanno toccato due giorni fa i 100 punti base, esattamente il doppio di quelli della disastrata America della crisi subprime. Il perché è presto detto: il governo laburista inglese sta spendendo tanto, tantissimo per salvare le banche e cercare di spingere i consumi in un momento di recessione non più tecnica. Certo, il rischio di default britannico è prettamente tecnico per una serie di motivi ma questo dimostra un approccio diametralmente opposto rispetto a quello del governo italiano.
In primo luogo, rispetto alle banche. Il governo Brown ha chiaramente detto di essere pronto ad azioni legali contro le banche che non rivedano i tassi verso i correntisti dopo il drastico taglio compiuto dalla Bank of England. Cosa ha fatto invece il governo italiano? Ha posto un tetto del 4% ai mutui a tasso variabile già in essere e un ancoraggio al tasso Bce per quelli stipulati dal primo gennaio 2009. Quindi, un esborso non dovuto verso soggetti che dovrebbe autonomamente porsi in linea con la Bce. In compenso si continua a sottovalutare lo stato di salute del sistema bancario italiano, scelta di Giulio Tremonti che rischiamo di pagare a caro prezzo a fronte del populista “bonus straordinario per famiglie, lavoratori, pensionati e non autosufficienti” che riguarderà poco meno di 8 milioni di soggetti per un importo complessivo poco inferiore ai 2,4 miliardi di euro.
Che le cose nel mondo bancario italiano non si stiano mettendo proprio bene lo dimostra l’indiscrezione sapientemente fatta filtrare da ambienti bancari ai quotidiani finanziari sulla non volontà di chiedere l’aiuto statale a causa dell’eccessiva onerosità dello strumento previsto dal governo: ma, come capirebbe anche un bambino, per motivi che hanno molto più a che fare con la delicatissima questione delle condizioni che potrebbero essere poste a fronte dell’intervento stesso. Come valutare poi le dimissioni a sorpresa di Giovanni Auletta Armenise dalla carica di amministratore delegato di UBI Banca? Il rischio è che la volontà di resa dei conti con i poteri forti bancari, da sempre non esattamente in linea con il berlusconismo, possa fare più danni di quanto non possa sembrare.
Stanziare 80 miliardi per le infrastrutture, in questo momento, è soltanto inutile, non demagogico. In questo momento di emergenza servono provvedimenti shock e di impatto immediato, servono stimoli ai consumi e alle imprese e non inviti a “consumare, consumare, consumare” quando non ci sono soldi per farlo. La scelta di istituire un fondo per gli investimenti del Gruppo Ferrovie dello Stato con una dotazione di 960 milioni di euro per il 2009, poi, è semplicemente ridicola a fronte di quanto sta accadendo. Insomma, la ricetta del governo è perfetta per una photo-opportunity, non per fronteggiare la tempesta perfetta che si sta abbattendo su mercati e società.