On. Cirino Pomicino, tutti gli Stati europei hanno adottato una loro soluzione a sostegno delle banche e quindi dell’economia reale. E noi?

Occorre fare una premessa per capire i rimedi necessari. In questi 15 anni in tutto il mondo si è creata una subalternità della politica agli interessi finanziari, che si sono globalizzati mentre la politica è rimasta all’interno del perimetro nazionale. Questa forza crescente, legata a un mercato con poche regole, che lentamente è diventato mero luogo di scommesse, di vendite allo scoperto, di indebitamento attraverso l’utilizzo spregiudicato della leva finanziaria ha dato luogo a un flusso finanziario che poco o nulla aveva a che fare con la realtà fondamentale dell’economia. Ma l’intelligenza tecnica, senza un fondamento etico e un’idea della società e dell’economia, fa disastri.



A chi spetta l’«idea della società e dell’economia» di cui parla?

Alla politica. Dietro la mutazione genetica del mercato c’è stato un lassismo della politica e un preciso filone culturale, ampiamente vagheggiato e sostenuto da molti autorevoli opinionisti – al contempo consulenti delle banche d’affari. Esso ha prodotto un modello culturale vincente che ha creato intimidazione verso la politica, relegata in una posizione di subordine e minorità. In alcuni paesi come l’Italia si è aggiunta una sua debolezza endemica per la scomparsa dei grandi partiti popolari. Questo è lo scenario nel quale muoversi. Occorre, in questa fase, ripristinare il valore e il governo della politica. Naturalmente non in chiave sanzionatoria.



Si spieghi.

Non c’è dubbio che se noi oggi avessimo una cultura uguale e contraria a quella del mercatismo libero e selvaggio, potremmo limitarci a dire “chi è causa del suo mal pianga se stesso”. Invece no: dimostreremmo di non avere quel senso dello Stato che serve in un momento come questo. Una crisi del sistema del credito di queste proporzioni si scatena con effetti da tsunami, andando a colpire i soggetti sociali ed economici più deboli, sia nel mondo dell’imprenditoria che nel mondo delle famiglie.

L’intervento è giusto e legittimo, dunque. Come?

La possibilità offerta dagli strumenti tecnici è diversa: obbligazioni convertibili, azioni privilegiate, possono avere una loro validità. Ma c’è un problema: l’ingresso del capitale pubblico in quelle banche che avessero bisogno di essere ricapitalizzate viene visto da quella cultura disastrosa che ha imperato negli ultimi 15 anni come un vulnus, una politica intrusiva nel “tempio” del mercato – che dovrebbe essere riservato non si sa a chi, visti i guai che hanno combinato.



A chi si riferisce in particolare?

Se un fondo sovrano libico compra il 4,5% di Unicredit giustamente pretende e ottiene una vicepresidenza o comunque una rappresentanza all’interno del Cda. Ora, non si capisce perché un fondo sovrano libico può entrare nel Cda della banca mentre l’ingresso di un rappresentante del Tesoro, qualora lo Stato fosse costretto a entrare nel capitale di una o più banche, farebbe suonare l’allarme perché metterebbe in pericolo uno dei principi cardine del liberismo. È un’autentica follia. E c’è un rischio: un governo che mette i soldi nelle banche, ma non dà ai soldi che mette il volto di un amministratore gestisce il potere nel rapporto con le banche nel segreto delle stanze, senza farlo valere pubblicamente in maniera ordinata e secondo le regole delle società.

Dove prendere i soldi per sostenere l’economia reale?

Un grande bacino di risorse sarebbe lo spin off immobiliare: mettere a frutto, vendendoli, gli immobili di Stato attualmente utilizzati dalla Pubblica amministrazione. Potrebbero far reperire risorse per 30-40 miliardi di euro, dando respiro e risorse per finanziare la crescita. La Cassa depositi e prestiti deve poter giocare un ruolo fondamentale.

La nostra economia reale, dice l’Europa, deve prepararsi ad un periodo di recessione.

Non dobbiamo credere che il paese vada in recessione a causa della crisi finanziaria; essa semmai farà da catalizzatore ad una crescita già in fase di contrazione, da anni, di un punto/un punto e mezzo rispetto agli altri paesi europei. Il rallentamento dell’economia mondiale aggraverà gli effetti recessivi della nostra economia. A maggior ragione occorre trovare risorse da destinare in primis a famiglie e imprese. La via maestra è quella delle detrazioni fiscali per le famiglie, in modo da aumentare il loro reddito disponibile, e della deducibilità degli interessi passivi per le aziende, insieme all’ammortamento accelerato per le spese di investimento. Tutto questo naturalmente a patto di riconoscere la vera priorità.

Quale?

L’Italia non cresce da quasi quindici anni e sono quindici anni che l’economia si autogoverna. Ma il governo tecnico dell’economia, senza la saggezza della politica, porta risultati distorsivi. Occorre tornare al più presto al primato delle scelte politiche, anche a scapito, per breve tempo se necessario, del rigore di bilancio.