Attenti ai giornali, specie quelli italiani. La febbre per le elezioni americane, infatti, ha creato una sorta di attesa messianica della Grande Svolta che, per qualche arcano mistero, secondo i rappresentanti dei mass media si sarebbe dovuta riflettere in tempo reale sull’andamento dei listini. Al contrario, l’attesa vittoria di Barack Obama non ha coinciso con il turnaround dei mercati. Anzi, dopo aver “digerito” le tante azioni di stimolo ai mercati azionari (blocco delle vendite allo scoperto, taglio concertato dei tassi, interventi mirati dei governi a favore dei bilanci bancari e così via), la Borsa, dispettosa per sua natura, ha ripreso la via dei ribassi proprio quando i monitor inquadravano folle festanti a Chicago, Nairobi o chissà dove. L’America, come ha scritto la “Far Eastern Review” di Hong Kong, è diventata “cool” grazie ad Obama. Ma per convincere l’Orso, tradizionale simbolo dei ribassi, ci vuole ben altro. Inutile illudersi: la situazione resta brutta. Certo, senz’altro “we can”. Ma solo con grande fatica. Per più motivi.
1) La crisi, quella vera, comincia a mordere per davvero. Sulle piazze finanziarie piovono i risultati delle trimestrali. Ovunque, è brutto stabile. Al punto che anche le aziende più efficienti, vedi Toyota, devono bruscamente rivedere al ribasso le proprie stime. Ma le cose, in questo triste novembre, vanno assai peggio, a tastare il polso delle aziende.
2) L’economia reale non sta meglio. In America come in Europa, aree sempre più collegate. Anzi, l’amara lezione del centro ricerche Motorola di Torino, chiuso all’improvviso dopo che, nemmeno tre mesi, si parlava di ampliamenti e di investimenti pubblici a sostegno dell’energia per alimentare il laboratorio, rischia di far davvero scuola: lo tsunami è così violento da far saltare ogni previsione od ogni strategia pubblica e privata. L’unica ricetta, sostiene Sergio Marchionne, è di evitare di far calcoli per i prossimi sei mesi, sotto l’imperversare dell’uragano.
3) Davvero non c’è niente da fare? Ovviamente sì. L’importante è innaffiare di denari il sistema, contribuire a ristabilire la fiducia tra banca e banca, puntare a ridurre gli “spread” sull’Euribor. Tutto serve, in questi momenti in cui i rischi sono davvero insidiosi. Prendiamo le materie prime: il Fondo Monetario prevede un calo del petrolio intorno al 20% per il 2009. Potrebbe apparire una buona notizia, se non fosse che il calo dei prezzi dipende dalla frenata delle economie e, a sua volta, può condurre al crollo della domanda dei produttori di petrolio, grandi clienti del made in Italy.
4) Il Fondo Monetario, infine, ha certificato l’arrivo della recessione nel 2009 a livello mondiale. L’Italia è in testa: c’è già arrivata nel 2008.
5) In questo quadro il taglio dei tassi della Bce può apparire tardivo. Ma sotto una certa soglia, diciamo il 3%, la manovra sul costo del denaro rischia di essere inefficace se non per periodi brevissimi. Il vero intervento deve passare dal taglio delle tasse per sostenere i consumi accompagnato da tagli strutturali di spesa.
6) Peggio di tutto, però, è dar la sensazione che le autorità monetarie procedono in ordine sparso. L’intervento congiunto di alcune settimane fa ha prodotto risultati positivi. La diversa entità del ribasso dei tassi tra Europa e Regno Unito del 6 novembre, al contrario, ha generato nuove paure in un mercato che nasconde nuovi “buchi” e che difficilmente imboccherà la strada della ripresa prima della metà dell’anno a venire.
Insomma, ben venga la speranza, quando ci si muove lungo un tunnel buio. Ma non facciamoci tentare da squarci di luce improvvisi ed effimeri. A’nuttata deve ancora finire.