Il Vertice dei Capi di Stato e di Governo che si apre oggi a Bruxelles risulta essere il punto focale di una serie di decisioni che avranno un impatto molto significativo sull’Europa dei prossimi anni. Possiamo distinguere l’Agenda del vertice in due momenti salienti.

Da un lato, i Capi di Stato e di Governo dovranno approvare il piano di rilancio dell’economia europea, un pacchetto di misure che, come è noto, prevedono un intervento di politica fiscale pari a 200 miliardi di euro, circa l’1,5% del Pil dell’UE, di cui 170 miliardi di provenienza dei bilanci pubblici nazionali e 30 miliardi, pari allo 0,3% del Pil, a carico del bilancio UE e della Banca europea degli investimenti (BEI).



Dal Vertice ci si attende un segnale positivo sui punti “critici” del pacchetto. Data la centralità delle azioni di finanza pubblica nazionali previste, occorre in sostanza capire qual è la reale volontà (o capacità) degli Stati membri di agire in maniera sincronizzata per stimolare insieme l’economia europea.



Il dato è tutt’altro che scontato se guardiamo alla ritrosia con cui Berlino ha sino ad oggi accolto le proposte di stimolo fiscale, dato il timore che una politica fiscale espansiva in Germania di fatto vada a stimolare i consumi da parte dei cittadini tedeschi… di beni di altri Paesi europei! Da valutare poi la posizione dell’Italia che, data la sua situazione di finanza pubblica più a rischio, non può permettersi stimoli fiscali comparabili per entità a quelli di altri paesi.

Dal lato “europeo” del pacchetto, vi è inoltre un serio dubbio sulla celerità con cui Parlamento europeo, che andrà ad elezioni a giugno, e Consiglio saranno in grado di far fronte alla mole di nuovi provvedimenti legislativi che il pacchetto preparato dalla Commissione mette oggi sul tavolo della politica economica, soprattutto in termini di rimodulazione dei saldi di bilancio europeo così come contenuti nelle prospettive finanziarie 2007-2013.



Una decisione risolutiva in questo senso da parte del Consiglio europeo, che imponga una “accelerazione” dell’agenda dei lavori per arrivare alla scadenza del Vertice di Primavera con alcuni provvedimenti prioritari approvati è in questo senso fondamentale.

Il secondo punto cruciale della riunione è legato all’approvazione del pacchetto ambientale conosciuto come “20-20-20”, di cui molto si è discusso in questi mesi e che, tra le altre cose, prevede la riduzione del 20% entro il 2020 della quantità totale di CO2 emessa dall’Europa nel suo insieme (settori industriali e civili inclusi).

Il percorso legislativo del provvedimento è stato vissuto sino a oggi come una battaglia degli ambientalisti contro i difensori dell’industria, ma si tratta di un’interpretazione distorta e ideologica: nessuno ormai mette in discussione l’obiettivo, essendo diffusa la consapevolezza della necessità di agire per limitare le emissioni di CO2.

In realtà, quello che si chiede al Consiglio europeo è un accordo di principio sugli aspetti relativi al modello di allocazione delle quote di emissione: una volta fissato il valore totale delle riduzioni di emissioni (-20%, sul quale siamo tutti d’accordo), come si decidono i soggetti economici che si impegnano a ridurre tali emissioni fino ad arrivare al valore concordato? Il modello suggerito dalla dottrina economica come più efficiente per allocare le quote è il meccanismo d’asta, per cui le imprese “comprano” sul mercato i permessi per inquinare.

Questo è il modello attualmente applicato dall’UE nell’ambito del Protocollo di Kyoto, con le quote oggi assegnate a titolo gratuito paese per paese. Dal 2013 bisognerà decidere, e questo è il cuore del dibattito politico in corso, se assegnare le quote a titolo gratuito all’industria sulla base di benchmark ambientali (le imprese più eco-efficienti, sulla base di parametri europei misurabili, beneficiano di quote gratuite che poi eventualmente vendono sul mercato), oppure se obbligare tutti, indipendentemente dalla performance ambientale, a comprare le quote attraverso il meccanismo d’asta. Tutto questo, fatto salvo il tetto complessivo di emissioni, e dunque garantendo l’obiettivo ambientale di fondo.

Teoricamente il meccanismo d’asta garantisce maggiore efficienza allocativa rispetto al modello a benchmark. Ma ciò è vero sotto una precisa ipotesi: che tutti i giocatori coinvolti siano soggetti alle stesse regole, ossia che ci sia un accordo internazionale sul clima in questo senso, ipotesi allo stato attuale tutt’altro che scontata.

In assenza di tale accordo, l’effetto del meccanismo d’asta imposto alle imprese europee sarebbe quello di spingere gradualmente la produzione di importanti settori industriali all’esterno del territorio dell’UE verso i Paesi non soggetti a rigidi vicoli in termini di emissioni, il cosiddetto “carbon leakage”. Senza nessun beneficio aggiuntivo di carattere ambientale per l’UE, visto che la quantità di emissioni prodotte resta invariata, o addirittura con un peggioramento su scala globale, considerando le emissioni di CO2 legate al trasporto internazionale dei prodotti importati.

Al Consiglio europeo è demandato allora il compito di identificare adeguate clausole di flessibilità (ad esempio utilizzando il modello del benchmark per le imprese più soggette al rischio di carbon leakage), clausole che consentano di preservare gli obiettivi di fondo della lotta al cambiamento climatico senza danneggiare la competitività europea nel lungo periodo.

Dunque, per le sue implicazioni di breve e di lungo periodo, si tratta di un Vertice cruciale nel cammino dell’UE, sia per le risposte che darà che per quelle (speriamo poche) che non sarà in grado di trovare.