È indubbio che l’attuale crisi finanziaria mondiale, di cui non conosciamo ancora l’effettiva portata, sarà lunga e dolorosa. Al contrario, molti più interrogativi suscita il futuro del capitalismo e il modello di sviluppo che si affermerà nei prossimi anni come risposta alla degenerazione dell’attuale sistema economico globale ispirato laissez-faire. Non si tratta certo di una questione di poco conto considerato che dalle risposte che intellettuali e politici di tutto il mondo saranno in grado di dare dipenderà la prosperità ed il benessere delle future generazioni.



Come più volte detto, al di là delle colpe e degli egoismi dei singoli, la crisi è il frutto dello squilibrio tra ricchezza materiale e ricchezza spirituale generato dalle caratteristiche insite nel modello di sviluppo adottato dall’occidente negli ultimi anni. Un modello socio-economico che, venute meno le ideologie del secolo passato, si basava sul mito dell’economia quale dominatrice assoluta della nostra esistenza, sull’esaltazione del mercato e del consumo (anche del superfluo) e su una visione dell’uomo e della società in cui la morale è ridotta a mera scelta soggettiva dei singoli individui.



Si tratta di un modello di sviluppo che ha posto l’economia quale valore supremo, ha disconosciuto il ruolo pubblico della fede e si è illuso che solo il singolo fosse in grado di discernere il bene e il male, generando una preoccupante confusione tra i fini e i mezzi. C’è da augurarsi che la crisi finanziaria che stiamo vivendo rappresenti il definitivo tramonto di questo modello di sviluppo che, tuttavia, non è il capitalismo di matrice liberale. Il liberalismo, diceva Einaudi, “è quella politica che concepisce l’uomo come fine” e, pertanto, richiede una forte coesione tra economia, diritto e morale.



Il liberalismo, infatti, per essere fedele a se stesso, deve poggiarsi su una dottrina del bene e del male universale, capace di dare indirizzi di carattere morale e comportamentale in grado di riequilibrare il rapporto tra ricchezza materiale e ricchezza spirituale di un popolo. Per questo motivo, il futuro del capitalismo è, secondo alcuni, me compreso, in quella dottrina chiamata economia sociale di mercato che, contrariamente al laissez-faire, si basa su un forte ordine di tipo giuridico, etico e religioso. Una dottrina che, esaltando il ruolo delle regole per il corretto funzionamento del mercato, conduce alla riunificazione di ciò che il capitalismo selvaggio aveva separato e, cioè, economia, diritto e morale. Non si tratta dunque della fine del capitalismo. Piuttosto, la crisi globale ci invita a tornare alle origini del liberalismo, a quel liberalismo che è figlio legittimo del cristianesimo e del suo magistero sociale, come diceva Wilhelm Röpke.

In questo senso, la dottrina sociale della Chiesa, nella sua valenza culturale e con la sua pretesa di offrire una visione complessiva, coerente e cogente dell’uomo e della società può rappresentare l’architrave del nuovo ordine capitalistico. Non è affatto un caso che Flavio Felice, che è uno dei maggiori studiosi italiani dell’economia sociale di mercato, abbia recentemente pubblicato un libro (F. Felice – P. Asolan, Appunti di Dottrina Sociale della Chiesa, Rubbettino) che, oltre ad offrire un’approfondita e dotta analisi dei principi e degli insegnamenti espressi dalla dottrina sociale della Chiesa, ne propone l’elevazione a disciplina scientifica. Essa, secondo gli autori, si relaziona alle scienze sociali e mira a raccordarle attorno ad una comune visione antropologica fornendo in tal modo una chiave di lettura complessiva della società e un criterio di valutazione universale. Nell’analizzare i quattro principi cardine del magistero sociale della Chiesa (il concetto di persona, la persona che vive in famiglia, la società o nazione, la sussidiarietà), il libro offre un’interpretazione del mondo globale e alcuni preziosi suggerimenti su come viverlo.

Sembra scritto per rispondere ad una serie di domande quali: cos’è l’uomo? cosa è più utile per lui? perché deve lavorare? quali responsabilità ha? Quelle stesse domande alle quali il modello di sviluppo dell’occidente, che oggi vediamo implodere a causa delle sue miserie spirituali, non è riuscito a trovare risposte adeguate. La via d’uscita dalla crisi può essere trovata solo attraverso un ritorno alla morale cattolica che è, da sempre, la vera promotrice del progresso materiale e spirituale dell’uomo. Se secondo alcuni la risposta alla crisi sarebbe tornare a Keynes, gli autori di questo libro preferiscono riflettere sulla possibilità di un nuovo rapporto tra etica ed economia e di dar vita ad un modello di sviluppo integrale, secondo l’insegnamento di Giovanni Paolo II.

Un modello di sviluppo che non è affatto contro il capitalismo ma, semplicemente, per l’uomo.