L’immagine che si prefigura dagli esperti e dagli analisti è quella di un “buco nero” per l’industria automobilistica mondiale. L’eco delle difficoltà di oltre Atlantico, che viene direttamente dal cuore storico di questo settore, cioè da Detroit, viene rilanciata in tutte le grandi capitali europee dell’auto. E tocca inevitabilmente Torino e la Fiat. In questa settimana, partendo proprio da 15 dicembre, vanno in cassa integrazione per un mese i cinquantacinquemila dipendenti degli stabilimenti Fiat e vi resteranno fino al 15 gennaio.



Ma se è già angosciosa l’entrata in cassa integrazione, diventa ancora più inquietante la data del 15 gennaio 2009, la data del ritorno in fabbrica, quando si dovrà programmare la produzione e si toccherà con mano la realtà del mercato. Un grande manager come Sergio Marchionne che, in qualsiasi modo lo si voglia considerare, ha tirato fuori in questi anni la Fiat dalla terribile crisi dell’inizio degli anni Duemila, non nasconde le difficoltà. La crisi finanziaria mondiale ha imposto un’agenda al settore automobilistico che è da brividi. Il crollo del mercato dell’automobile è cominciato a settembre. Non sembri un paradosso che la Fiat chiuda il 2008 con profitti record.



Nel giro di un anno, a cavallo della crisi finanziaria, quando la crisi è passata da Wall Street alla Main Street, come dicono nel loro slang metaforico gli americani per far comprendere che la finanza ha contagiato l’economia reale, le buone performance dei primi otto mesi dell’anno sono state sufficienti a salvare i bilanci. Poi, con l’autunno e settembre, con il crollo dei listini delle Borse di tutto il mondo, è arrivata la gelata per un settore produttivo che è del bisogno di profonde trasformazioni e di grandi ristrutturazioni. Ci sono due fatti che complicano il futuro dell’auto. Il primo è che, nella generale contrazione dei consumi, è prevista una caduta della domanda intorno al 20 percento. Ed è una valutazione generalizzata. Sino qualche settimana fa si pensava che sui mercati emergenti, i consumi, compreso quello automobilistico, risentissero meno della crisi.



Al contrario, persino in un Paese come il Brasile, in base all’andamento degli ultimi mesi, la contrazione è stimata nello stesso ordine del 20 per cento. E questo è, particolarmente per la Fiat, un duro colpo, che lo stesso Marchionne non ha nascosto. Il secondo fatto è rappresentato dalla difficoltà di interventi di sostegno per l’industria automobilistica. Abbiamo già scritto nelle scorse settimane che un crollo delle “tre grandi” americane, con tutto l’indotto che comporta la produzione automobilistica, sarebbe stato un collasso e una “bomba sociale” per Detroit e per l’America. Ma il nuovo presidente americano, Barack Obama, e “l’anatra zoppa” del periodo di transizione, il presidente George W. Bush, hanno dovuto superare l’opposizione del Senato americano e ripiegare su una quota degli stanziamenti del secondo “piano Paulson”, quello destinato a sostenere le banche.

Forse il problema di questa difficoltà del Senato americano è un sintomo di sfiducia non solo nelle politiche interventiste, ma anche verso i manager e probabilmente anche verso tutto il settore della produzione automobilistica. Ma il segnale che viene dall’America non sarà certamente inascoltato anche in Europa. Di fronte a tutto questo, Marchionne è stato molto esplicito: “Nessuno può prevedere oggi quali saranno le reali ripercussioni della crisi. Ma il cambiamento culturale che la Fiat ha vissuto ci ha preparati ad affrontare un nuovo ordine di cose”. E’ una dichiarazione di non rassegnazione, di reazione di fronte a un a crisi che alla fine scandisce la svolta epocale della produzione automobilistica mondiale.

Al momento, oltre a prendere atto della realtà, si fanno scenari di poli produttivi ridotti. Secondo lo stesso Marchionne, ma anche secondo altri protagonisti del settore, ci sarà spazio nel prossimo futuro, in tutto il mondo, per sei grandi produttori. Quindi è probabile che sin da gennaio comincerà un grande risiko dei marchi automobilistici, dove fusioni, incorporazioni o semplicemente “matrimoni” segneranno il primo passo della grande ristrutturazione.

La vecchia “federazione dei marchi”, General Motors, quasi sicuramente avrà un futuro parallelo alla Ford. In Europa bisognerà osservare le mosse di Bmw tedesca e quelle dei francesi di Renault e di Psa. Poi bisognerà vedere quali strade batterà la Toyota giapponese. E’ già fissato un minimo di produzione annuale per questi “sei superstiti mondiali” del settore automobilistico: dovranno produrre almeno cinque milioni di macchine all’anno e dovranno saper restare sul mercato, che sarà diverso, più sofisticato, ma anche meno invasivo per le strade delle città del futuro. Forse la vera partita si giocherà sulla qualità, sull’eccellenza delle nuove “city car” che stanno disegnando e che stanno realizzando i nuovi strateghi.

Come potrebbe entrare la Fiat in questo nuovo mercato? Senz’altro, per i volumi produttivi, avrà bisogno di un matrimonio importante. Ma poi sarà necessario scegliere anche i mercati che potranno assorbire questa produzione. Si dice continuamente che, per suo prossimo matrimonio, Fiat guarda ai francesi e ai tedeschi, probabilmente per non rinunciare a una presenza importante sul mercato europeo. Ma è troppo marcata l’esclusione di un partner come Tata, la grande casa indiana già presente nel capitale Fiat. Si può allora prevedere un ragionevole percorso. Intanto Fiat potrebbe sposarsi, anche per gli antichi rapporti che esistono, con Psa, soprattutto con il marchio Peugeot. Questo primo passo garantirebbe una tenuta forte sul mercato europeo. In un secondo tempo, l’apertura su un grande mercato come quello asiatico, del subcontinente indiano in particolare, sarebbe garantito da una partnership con la famiglia Tata.