Venerdì scorso il consiglio Ue dei capi di Stato e di governo ha raggiunto un accordo sul controverso pacchetto-clima, che comprende gli obiettivi del cosiddetto piano 20-20-20. Molti i punti controversi e i vincoli attraverso i quali i singoli paesi dovranno destreggiarsi per adempiere gli obblighi previsti dagli standard fissati dall’Unione. Ma il pacchetto non è fatto solo di costi, dice a ilsussidiario.net Luigi Paganetto, presidente dell’Enea (Ente per le nuove tecnologie, l’energia e l’ambiente): ci sono anche benefici. E sono un’opportunità che il nostro paese deve saper sfruttare.
Nella sua audizione in commissione Ambiente della Camera dei deputati, alla vigilia dell’accordo Ue sul pacchetto clima, lei ha puntato l’attenzione su un’analisi complessiva del rapporto costi-benefici che sarebbero stati associati al provvedimento. Perché?
Farei prima una premessa. Noi abbiamo una minore intensità energetica degli altri paesi Ue, ma siamo meno efficienti negli usi finali e quindi abbiamo costi più elevati. La nostra prima esigenza è quella di riequilibrare il mix di fonti energetiche per essere più efficienti e spendere meno. Ora, la questione che ci ha posto l’Ue è quella di un minor consumo di energia a parità di consumi. Ma non solo. Il piano cosiddetto del 20-20-20 dice che un minor consumo aiuta a ridurre la CO2 ma non basta: per raggiungere l’obiettivo si chiede una maggior quantità di ricorso alle fonti rinnovabili. In buona sostanza, i risultati si possono conseguire in molti modi, questi modi hanno un costo ed è su questo che si è acceso il dibattito. Il costo per noi indicato dalla Ue sta tra lo 0,51 e il 0,66% del Pil. Di fronte a questa situazione, Enea ha elaborato uno scenario, per far vedere quale sia l’importanza e quali i risultati conseguibili attraverso interventi sull’efficienza degli usi finali dell’energia.
Che cosa possiamo far per migliorare la situazione?
Intanto, se consumo di meno ho una riduzione della percentuale sull’import di combustibili fossili. Gli impieghi finali sono quattro: trasporti, servizi, industria, residenziale. Quello che abbiamo visto noi è che i risultati maggiori di riduzione dei consumi si possono ottenere nel residenziale, che ammette una combinazione molto vantaggiosa di misure per l’efficienza e fonti rinnovabili. Nel residenziale si possono usare tecnologie di costruzione, ma anche di ristrutturazione di edifici esistenti, che mettono insieme risparmio di energia riducendo la dissipazione, ed energia solare. Quest’ultima non tanto mettendo pannelli solari, quanto facendo ricorso a soluzioni costruttive come i film sottili, che non alterano la struttura degli edifici ma realizzano un assorbimento di energia solare che rende meno costoso il riscaldamento o il raffreddamento della casa.
Le rinnovabili sono controverse perché hanno costi molto elevati, e la resa, in relazione ai costi, desta molte perplessità.
Proprio per questo non bisogna considerare le tecnologie di per sé, perché di per sé le tecnologie delle rinnovabili – prendiamo il fotovoltaico – hanno un costo molto elevato, che di conseguenza ha bisogno di essere sostenuto. Ma dobbiamo pensare al fotovoltaico come tecnologia integrabile nei meccanismi costruttivi. C’è differenza tra mettere dei pannelli sul tetto della casa e mettere, come si sta cominciando a fare in alcune parti, materiale da costruzione che incorpora direttamente nelle tegole cellule fotovoltaiche; oppure, se costruiamo una struttura in ferro e cemento, utilizzare pannelli che integrano sul frontale celle di tipo fotovoltaico. Se rendiamo integrato il meccanismo a livello industriale, l’impiego del fotovoltaico non sarà più l’appendice a qualcosa che è già stato fatto, ma sarà una parte integrata che si evolve industrialmente verso un’applicazione di larga scala.
Prima che venisse raggiunto l’accordo sul pacchetto clima il negoziato è stato molto aspro. L’Italia era intenzionata a spostare o modificare le clausole dell’accordo sul 20-20-20 e sul punto ha avuto il sostegno tattico di altri paesi europei. Lei che impressione si è fatto?
Il governo ha fatto bene a suo tempo a mettere l’accento sugli aspetti problematici, perché ciascun paese che deve sostenere dei costi ha interesse a ridurli. Se la Ue dice che l’Italia deve sostenere un costo dello 0,51% del Pil mentre alla Germania spetta un costo dello 0,41%, viene da chiedersi perché proprio noi? È un problema che qualunque governo si pone quando deve addossare ai cittadini un costo. Ma va considerato un altro lato del problema, che sono i benefici.
In che modo?
Dal lato “costo” riusciamo ad aumentare l’efficienza energetica: e va bene. E i benefici? Se impiego nuove tecnologie al servizio dell’efficienza energetica o delle nuove fonti, sto di fatto mettendo in moto un meccanismo industriale. Ed è una precisa scelta strategica. Allora delle due l’una: o pago il costo che mi è stato addossato, cercando di ridurlo, e basta, oppure, mentre pago il costo, faccio come la Germania e l’UK e cerco di ottenere innovazioni e tecnologie per rispondere agli obiettivi dell’Ue, senza importarle.
Le sembra che questa prospettiva sia accolta?
Direi che c’è molto da fare, perché si tende a guardare con molta più attenzione l’aspetto del costo e non quello del beneficio. Certo è naturale che questo avvenga, perché guardare il costo vuol dire guardare a quello che devo sopportare oggi, e che è tanto maggiore per i settori energy intensive – acciaio, vetro, ceramica, alluminio etc. e quell’industria paga di più, mentre questo non succede per altre attività del manifatturiero. La questione però e che se devo far del mio meglio per contenere i costi, nello stesso tempo per raggiungere gli obiettivi europei faccio partecipare il sistema industriale italiano ad un processo nel quale può cogliere un’importante opportunità di sviluppo.
Ci sono le condizioni per sfruttare questa opportunità?
Le tecnologie coinvolte nel lato “benefici” sono alla portata delle imprese piccole e medie che costituiscono il nerbo del sistema industriale italiano. Non solo ma se guardiamo al tema efficienza – nel caso dell’edilizia residenziale – l’effetto di ricaduta è potenzialmente enorme. Germania e Gran Bretagna hanno capito che mentre sopportano i costi che l’Europa richiede, lo sforzo di innovazione tecnologica è un’opportunità che non devono perdere. Noi dobbiamo essere attenti non solo alla produzione di energia, ma anche agli aspetti di moltiplicatore forte e a costi relativamente contenuti, che il pacchetto-clima può avere per l’intero nostro sistema economico.