Le due crisi combinate, finanziaria e recessiva, stanno arrivando al massimo impatto negli Stati Uniti. Tra poche settimane lo faranno anche in Europa e Asia, già gravemente colpite.
La politica monetaria in America sta reagendo con misure stimolative d’emergenza, in attesa dell’insediamento della nuova Amministrazione il 20 gennaio. È un buon momento per valutarne l’operato e compararlo con quello della Bce.
La Riserva federale statunitense (Fed) sta operando secondo una statuto che la obbliga non solo a difendere il valore del denaro dall’inflazione, come la Bce, ma anche a creare le condizioni monetarie e finanziarie per la crescita e, implicitamente, minimizzare le crisi.
La scelta di portare il costo del denaro (di riferimento) a zero è il massimo stimolo monetario possibile. Se lo ha fatto, accettando un elevato rischio di squilibrio futuro sul lato dell’inflazione quando vi sarà la ripresa, vuol dire che il pericolo di deflazione è grande e incombente. La priorità è evitare che i consumatori, attendendosi prezzi in calo, ritardino le decisioni di spesa deprimendo ancor di più, nel frattempo, il mercato.
Ma la Fed sta facendo ben di più. Di fatto sta sostituendosi al mercato finanziario, ancora congelato. Compra titoli finanziari incerti dalle banche; fornisce liquidità al mercato prendendo rischi da banca commerciale; stampa denaro. In sintesi fa di tutto e di più per far scorrere di nuovo il sangue finanziario nelle vene del corpo reale dell’economia.
Il commento è uno solo: applauso per il coraggio e l’audacia tecnica delle innovazioni di riflazione d’emergenza. Una tale inondazione di liquidità certamente promette di rivitalizzare l’economia interna americana se combinata con un massiccio stimolo fiscale e di investimenti pubblici, per altro promesso come priorità da parte di Barack Obama. Infatti nel mercato torna l’ottimismo di prospettiva nonostante l’impatto della crisi recessiva non si sia ancora sfogato e quella del credito ancora in atto.
L’applauso riguarda la capacità dei gestori monetari, speriamo che i politici seguano, di riconoscere la situazione, agire pragmaticamente e, soprattutto, velocemente.
Anche l’Italia può riprendere ottimismo, pur in attesa del colpo, perché cresce la probabilità che alla fine del primo semestre l’America esca dalla recessione e ricominci a gonfiare la domanda globale, con nostro beneficio alla fine dell’anno e a seguire.
Il commento comparativo sulla Bce e sull’operato dei governi europei è, invece, negativo. La prima vuole mantenere un costo del denaro elevato pur senza rischi a medio termine (18 mesi) di inflazione, generando meno liquidità in fase d’emergenza.
Da un lato ci sono parecchie scusanti per tale comportamento. Le manovre di politica monetaria hanno meno effetto in Europa perché il suo mercato è meno sensitivo per rigidità (modelli statalisti). Si aspetta che i governi sfondino i deficit e, mantenendo i tassi elevati, spera che il mercato non punisca la moneta.
Dall’altro, bisogna annotare che adotta una cultura tecnica di “idealismo monetario”, di scuola tedesca, opposta al pragmatismo di scuola americana. Proprio ora avremmo bisogno di tassi minimi per la riduzione degli oneri debitori pubblici e privati e per favorire la ricapitalizzazione degli istituti bancari.
Ma la Bce non vuole ridurre i tassi. La cosa ridicola è che dovrà farlo quando la crisi morderà di più l’Europa. Significa che l’idealismo monetario applicato ai tassi porta l’autorità monetaria a operare in costante ritardo e tale è la motivazione della bocciatura tecnica.
Piuttosto buona, invece, la gestione da parte della Bce della crisi bancaria, in particolare gli schemi di rifinanziamento degli istituti e la pressione su di essi perché ricomincino a far girare i denari nel circuito interbancario invece che depositarli presso la Bce stessa.
Sul non operato dei governi europei è meglio astenersi da commenti perché in tempi di crisi dobbiamo dare loro fiducia. Ma scappa un vecchi, tecnicamente incompetenti, e ridicoli nel demonizzare la finanza e il capitalismo nel momento in cui dovrebbero mostrare di saperli ricostruire.