L’incontro tra Tremonti e Bersani è l’inizio di una collaborazione tra maggioranza e opposizione per affrontare la crisi economica? Tremonti aveva più volte auspicato un rinnovato “senso repubblicano” per affrontare le difficoltà in uno spirito bipartisan. Per Nicola Rossi, economista e senatore Ds, «il metodo è assolutamente positivo». Occorre però metter mano a riforme strutturali, cominciando dal welfare: «abbiamo bisogno immediato non di misure tampone, ma di una riforma complessiva degli ammortizzatori sociali».



Professore, il ministro Tremonti ha incontrato Bersani sui temi di politica economica. È un primo effetto positivo della crisi?

Dimostra come maggioranza e opposizione, se vogliono, siano in grado di scambiarsi opinioni e valutazioni costruttive sulla delicata fase di crisi che stiamo attraversando. Al di là del tema del colloquio, direi che il metodo è assolutamente positivo.



Tremonti ha detto no al piano da 16 mld di euro richiesti dal Pd, pari a 1 punto di Pil, che Bersani avrebbe voluto inserire nella manovra. Il debito è proprio quel “dogma” economico che da più parti è stato criticato?

Non è un dogma, è un problema molto serio. Su questo punto di vista credo che il ministro dell’Economia faccia bene a ricordare a tutti che il nostro 2009 sarà un anno molto delicato. Abbiamo il rinnovo di una parte consistente del debito, già oggi abbiamo uno spread rispetto al Bund tedesco che è già a livelli preoccupanti. E non è il caso di complicarsi la vita.



Tremonti a fine incontro ha detto che affrontare l’emergenza della disoccupazione da crisi sarà il primo obiettivo del 2009. Il lavoro è tornato al centro del dibattito politico: Bonanni sul Messaggero di oggi ha rilanciato i contratti di solidarietà, Brunetta ha riproposto di elevare l’età pensionabile per le donne portandola fino a 65 anni…

La mia opinione è che abbiamo bisogno immediato non di misure tampone ma di una riforma complessiva degli ammortizzatori sociali, e penso onestamente che la modalità più razionale per finanziarla sia oggi quella di chiedere a chi già lavora di lavorare un po’ di più.

Bene ha fatto quindi Brunetta a riaprire il problema di un elevamento dell’età pensionabile delle donne?

Contrariamente a quello che si è visto sui giornali, credo che abbia posto un problema reale, e credo che a un problema serio si debba rispondere in modo altrettanto serio. È ragionevole ipotizzare di alzare l’età pensionabile femminile, purché rimangano sia per l’uomo che per la donna margini di scelta così come erano previsti dalla riforma Dini. Dopo di che non ci si può naturalmente fermare qui. Bisogna capire come si “restituisce” alle donne parte di ciò che si toglie loro con l’innalzamento dell’età pensionabile. Penso che una parte possa essere restituita attraverso forme di abbattimento della pressione fiscale sulle donne che lavorano. Proprio perché il risultato finale deve essere lavorare di più, ma anche rendere più conveniente il lavorare.

Sempre in tema di lavoro, Ichino ha proposto un contratto unico a tempo indeterminato con tutele crescenti, ma con una flessibilità di tipo “nordeuropeo”, basato su un patto imprese/sindacati con meccanismi che incentivano la ricollocazione professionale…

Tutte le cose di cui stiamo parlando sono pezzi, parti, componenti o come le si voglia chiamare, di quelle riforme strutturali di cui il paese avrebbe enorme bisogno. E qui, temo, tocchiamo il vero problema: quando la crisi si sarà finita continueremo a ritrovarci con un’economia – la nostra – che cresce un punto l’anno meno degli altri.

Lei da dove comincerebbe?

Proprio dal welfare. Credo che la cosa più urgente sia l’estensione del completamento della riforma degli ammortizzatori sociali. Oggi ci rendiamo conto di quanto sia delittuoso non averla fatta negli anni passati.

È quantomeno insolito che un vescovo arrivi ad esprimere pubblicamente preoccupazione per l’azienda della propria città e a invocare soluzioni, come ha fatto il cardinal Poletto. C’è stata una proroga della cassa integrazione, e le immatricolazioni Fiat hanno fatto segnare un calo del 23,8% tra novembre 2008 e novembre 2007. Aiuti di Stato all’auto, sì o no?

È una domanda difficile. ma credo che la risposta corretta sia quella che ha dato Marchionne: è evidente che se tutti danno gli aiuti, diventa difficile, in un mercato mondiale, evitare di farlo solo nel caso italiano. Di questo mi rendo perfettamente conto. Al tempo stesso mi auguro che almeno per quanto riguarda l’Europa si possa intervenire in maniera diversa da questa, perché sarebbe una misura che non risolve il problema: sarebbe un ripristinare temporaneamente condizioni di parità sul mercato, ma alla fine i problemi strutturali di fondo rimarrebbero inalterati.

Quale futuro vede per il settore?

Penso che sotto questo profilo le aziende siano più avanti della politica, quando capiscono che gli anni a venire vedranno un’ulteriore riduzione del numero di produttori di automobili nel mondo. Le case costruttrici devono prepararsi a questo cambiamento.