Se un finanziere va in banca e, presentando tutte le garanzie richieste, chiede un miliardo di euro e la banca glielo dà e poi scopre che le garanzie su quel miliardo non coprono il miliardo concesso, l’errore lo ha fatto la banca o il finanziere? E quando, analogamente, viene finanziato per 6 miliardi, l’errore è delle banche che glieli danno o del finanziere che li accetta?



Stiamo parlando, ovviamente, di Romain Zaleski, dipinto come un caimano profittatore che «non ha creato mai un solo posto di lavoro» e ha giocherellato con i soldi dei correntisti italiani e francesi per assumere posizioni di potere, finendo poi a gambe all’aria quando i corsi delle azioni che ha comprato sono crollati.



C’è una strana contraddizione in questa storia, quella che vorrebbe le banche vittime del finanziere franco-italo-polacco Zaleski e, quest’ultimo un geniale profittatore dell’ingenuità delle prime. In realtà le cose non stanno così e anche la corsa della stampa economica a difendere le banche italiane “costrette” a salvarlo ha qualcosa di irragionevole.

Le prime a sbagliare sono state le banche, che da almeno 5 anni hanno pompato euro nella Carlo Tassara, la capogruppo di Zaleski, che sono stati utilizzati per acquistare partecipazioni fondamentali in società strategiche del sistema industriale e creditizio italiano.



Zaleski ha sfruttato una delle più grandi anomalie dell’economia di relazione italiana, quella nella quale, anziché affidarsi totalmente al libero mercato azionario, i presidenti delle banche cercavano sempre qualcuno di “affidabile” da far sedere nei propri salotti. Qualcuno che comprasse e non pretendesse di comandare.

Storicamente questo qualcuno il sistema italiano lo ha sempre cercato e trovato e l’ultimo della lista è stato Romain Zaleski al quale il presidente della San Paolo Intesa ha affidato le chiavi del proprio cuore finanziario, la Mittel. Ma Zaleski serviva, perché non era una testa calda alla Coppola, che dalle parti di Mediobanca era visto come un rom. Serviva finanziarlo perché comprasse pacchetti azionari che contribuissero alla stabilità del sistema.

Ma il gioco è finito male, sia perché il finanziere non ha capito che il mondo stava cambiando e che si stava avvicinando una recessione che lo avrebbe falcidiato, sia perché le due banche straniere, del tutto estranee alla logica corporativa del sistema italiano, hanno legittimamente chiesto il rientro dai fidi accordati. A quel punto, solo a quel punto, non prima, l’allarme rosso si è acceso anche nei salotti degli istituti italiani che, al contrario di quelli stranieri, sarebbero stati disposti a finanziarlo ulteriormente ben sapendo il peso specifico che Zaleski ha all’interno del sistema di potere che loro stessi avevano creato e nel quale lo hanno invitato ad accomodarsi.

Far passare le banche come vittime del sistema Zaleski è, perciò, una forzatura piuttosto grave. Più serio è prendere atto che Zaleski si è approfittato di un sistema di potere infilandosi tra le sue crepe, tra le sue contraddizioni.

Ecco perché è da ingenui chiedere un intervento da parte delle banche italiane diverso dal salvataggio. L’alternativa sarebbe, infatti, lasciare che Zaleski se la veda con le banche straniere le quali escuterebbero i pegni dati in garanzie per i prestiti riversando sul mercato milioni di titoli “sensibili” dati in pegno. Stiamo parlando di Intesa San Paolo, A2A, Monte dei Paschi di Siena, Mediobanca, Generali.

Le banche italiane dovrebbero accettare, insomma, una logica di mercato applicata ai loro titoli. Mai successo. Ed è troppo recente il caso dell’escussione del pegno che la Hopa di Emilio Gnutti aveva dato alla Royal Bank of Scotland costituito da titoli di Telecom Italia. Quei titoli la Rbs li scaraventò in borsa provocando un tracollo dei titoli della società telefonica facendola traballare paurosamente.

Tra le banche che hanno chiesto a Zaleski di rientrare dai crediti c’è proprio la Royal Bank of Scotland (insieme alla Bnp Paribas) che ha già dimostrato di non scherzare. Se l’escussione avvenisse, chi si troverebbe nei guai più grossi chi sarebbe? Le banche italiane o Zaleski?

Ecco perché il salvataggio è figlio di un meccanismo di mercato che in Italia è sempre mancato. Si cercano gli amici a cui affidare la sicurezza di non essere scalato e poi si vuole passare da vittime quando l’amico rischia di fallire.