Nella manovra anti-crisi del Governo vi sono numerosi interventi sul credito: fra quelli principali, alcuni influenzano direttamente le banche (ricapitalizzazione art. 12 e mutui art. 2) altri favoriscono il finanziamento delle imprese (potenziamento dei Confidi art. 11) e delle opere pubbliche (ampliamento dell’attività della Cdp art. 22).
Per farsi un’idea dell’impatto di questi interventi è bene innanzitutto ricordare che la manovra si inquadra nel più generale tentativo di ripristinare un clima di “fiducia” nell’ambito dell’intera attività economica: per quel che riguarda in modo specifico il settore del credito si tratta anche di risolvere il problema del ripristino delle condizioni di “liquidità”, compromesse dalla lunga crisi finanziaria avviatasi da oltre un anno e culminata negli eventi dei mesi scorsi, con apice nel fallimento della Lehman Brothers (gravissimo errore delle autorità di vigilanza statunitensi, come abbiamo avuto modo di sottolineare fin da subito su questo quotidiano).
È bene ricordare inoltre che a seguito degli accordi in seno all’Eurogruppo, nel mese di ottobre, proprio per ripristinare “fiducia” e “liquidità”, erano stati emanati due decreti, il 155 e il 157, in attuazione (e non in deroga!) del Trattato dell’UE sugli aiuti di Stato, coi quali:
Si è aggiunta ed estesa la garanzia statale sui depositi bancari, col fine di restituire fiducia ai depositanti e bloccare sul nascere ogni rischio di “corsa” agli sportelli;
Si è introdotta l’eventualità, in caso di bisogno, dell’intervento pubblico per la ricapitalizzazione delle banche;
Si sono introdotte ulteriori garanzie statali per l’emissione, fino a tutto il 2009, di nuove passività bancarie (obbligazioni) e per il prestito di titoli stanziabili, ovvero utilizzabili per ottenere anticipazioni presso la Bce;
Si è introdotta la possibilità di consentire lo scambio di titoli di Stato contro altri titoli in possesso delle banche (aventi caratteristiche di minore stanziabilità), sempre al fine di consentire un più facile accesso al rifinanziamento presso la Bce.
Come era facile attendersi, questi interventi, seppur giudicati da tutti tempestivi e molto opportuni in una fase di grande emergenza, hanno scatenato un vivace dibattito sullo Stato “interventista” e sul pericolo di un ritorno a esperienze non proprio edificanti del recente passato, che hanno visto lo Stato “padrone” in molti settori, ivi compreso quello bancario.
Fermo restando che nel nostro Paese non vi è mai stato un pericolo di stabilità delle banche (salvo l’episodio Unicredit nella fase più acuta della crisi, risolto peraltro senza l’intervento pubblico), com’è invece avvenuto in altri sistemi che hanno proceduto ad un’immediata ricapitalizzazione da parte dello Stato (Usa e Uk in primis, patrie del liberismo!), si è sempre cercato di evitare interventi diretti sul capitale tali da far tornare lo Stato, appunto, nella compagine proprietaria delle banche, ma si è puntato, piuttosto, a interventi di sostegno della provvista bancaria che fossero in grado di risolvere al contempo, sia il problema di un allineamento dei coefficienti patrimoniali (il cosiddetto Tier 1) ai nuovi standard imposti dalla crisi, sia quello di una canalizzazione delle risorse verso il sostegno finanziario delle imprese e delle famiglie e dunque, in ultima analisi, degli investimenti e dei consumi.
Entrambi questi obiettivi sono presenti nella manovra appena approvata: il rafforzamento patrimoniale potrà essere realizzato con l’acquisto di titoli “speciali” da parte dello Stato; il rischio del credit crunch potrà essere attenuato sia con la moral suasion esercitata dallo Stato e dalla banca centrale (più incisiva per le banche ricapitalizzate) sia con le agevolazioni sui mutui e sulle garanzie prestate dai Confidi.
Per quel che riguarda in particolare la ricapitalizzazione con l’intervento dello Stato, da esercitarsi entro il 2009, questa potrà avvenire con la sottoscrizione di titoli obbligazionari, emessi su base volontaria dalle banche quotate, che potranno essere o subordinate e perpetue (si computano nel Tier 1) o convertibili (si computano nel core tier 1); all’emittente è riconosciuto il diritto di decidere sia il rimborso o riscatto sia la conversione; il rendimento, che dovrà risultare conveniente per lo Stato, sarà fissato con apposito decreto; per accedere a questo finanziamento le banche dovranno: a) impegnarsi a rispettare alcune regole sulle politiche del credito e sui dividendi da concordare in un protocollo col Mef; b) adottare un codice etico, contenente, fra l’altro, previsioni in materia di remunerazione dei dirigenti, da trasmettere al Parlamento.
Tutte queste operazioni dovranno essere sottoposte al vaglio della Banca d’Italia e inoltre il Parlamento dovrà valutare le relazioni periodiche del Mef sull’attuazione degli interventi e, al livello provinciale, le Prefetture costituiranno un osservatorio sul credito con tutti i soggetti interessati; fatto salvo quello della banca centrale, i restanti interventi hanno più valore formale che sostanziale.
In attesa di dare una valutazione più appropriata quando si conosceranno i “prezzi” delle operazioni sul capitale delle banche, una valutazione complessiva degli interventi non può che essere positiva: lo Stato ha fatto il suo dovere. Si tratta di un intervento “necessario”, poiché consente di innalzare il livello della capitalizzazione ed evitare così che si creino squilibri competitivi con banche di altri sistemi; l’intervento è poi “opportuno” poiché costringe le banche a indirizzare le nuove disponibilità al sostegno degli affidamenti in corso nei confronti di Pmi e famiglie, evitando così il tanto temuto effetto di restrizione del credito con conseguente compromissione della stessa stabilità delle imprese affidate; si tratta infine di un intervento “economico”, finanziato con risparmi nelle spese o con l’emissione di nuovi titoli, che comunque non andrà a impattare sui parametri comunitari (misurati al netto di detti interventi) e che sarà economicamente conveniente, fatto cioè con incassi da rendimenti superiori alle uscite per i costi.
Quanto agli impegni da fissare nel protocollo e nel codice etico, al di là degli aspetti forse un po’ troppo enfatici circa l’“ufficialità istituzionale”, non credo che si tratti di null’altro che della sacrosanta pretesa di verificare la correttezza dei comportamenti su materie molto sensibili e che in questi ultimi tempi hanno mostrato, nel mondo, serie criticità: l’effettiva destinazione del credito ai settori ritenuti prioritari, senza beninteso influire minimamente sulla autonomia nella valutazione del merito creditizio dei singoli affidati; la politica dei dividenti, che deve essere improntata al mantenimento dei livelli di patrimonio più adeguati per la banca; infine una corretta politica retributiva, specie con riferimento alla incentivazione dei dirigenti, che ha conosciuto di recente eccessi forse evitabili!