La crisi economica, oltre ad intaccare il potere d’acquisto dei salari, metterà a rischio molti posti di lavoro. Politici ed economisti stanno formulando proposte per ampliare le tutele e la discussione è aperta: Pietro Ichino ha riproposto l’idea di un contratto unico a tempo indeterminato, Bonanni ha riaperto ai contratti di solidarietà, il ministro Brunetta, due settimane fa, ha proposto di non mandare in pensione le donne prima di 65 anni. Anche Nicola Rossi si è detto d’accordo: occorre lavorare di più. Ilsussidiario.net ne ha parlato con il ministro del Welfare, Maurizio Sacconi.



Ministro, il Parlamento Ue ha respinto la proposta del Consiglio di allungare la settimana lavorativa a 65 ore.

È un problema che non ci riguarda, perché in Italia l’orario di lavoro è regolato dalla contrattazione collettiva. Ne soffre di più l’Europa dell’Italia, perché l’effetto di quella bocciatura è di complicare il già difficile processo di conciliazione tra Parlamento e Consiglio, con la conseguenza di un quadro divaricato tra i vari paesi europei.



Brunetta qualche tempo fa ha proposto di alzare l’età pensionabile per le donne. Bonanni sul Messaggero settimana scorsa ha detto “riapriamo i contratti di solidarietà”; Nicola Rossi, su questo giornale ha confermato che dovremmo lavorare tutti di più. È così?

Attenzione. Il problema a breve termine è far fronte alla grave crisi in cui ci troviamo, che potrebbe tradursi in un significativo incremento della disoccupazione. Credo che sia giusto da un lato approntare ammortizzatori sociali anche per coloro che oggi non ne hanno diritto, e dall’altro evitare che un sistema troppo generoso di concessione degli stessi ammortizzatori deresponsabilizzi le imprese e renda più facile l’interruzione del rapporto di lavoro. Quel che vedo nelle proposte di Bonanni è fare in modo che, anche in presenza di una caduta del fatturato delle imprese, non si arrivi subito alla risoluzione del rapporto di lavoro, e le imprese siano sollecitate a non perdere il rapporto con risorse umane formate, che in questa fase costituiscono un bene fondamentale.



Di conseguenza dove si tratta di agire?

Occorre spendersi al massimo per favorire la sospensione del rapporto di lavoro rispetto alla sua risoluzione, per mantenere quanto più ampia possibile la base di coloro che mantengono il rapporto con un’attività produttiva. Non dimentichiamo che anche le attività formative, che dobbiamo cercare di collegare con la protezione del reddito, sono tanto più efficaci quanto più si realizzano in un contesto produttivo. Occorre quindi fare in modo che anche coloro che sono sospesi dal lavoro rimangano agganciati ad un contesto produttivo, magari lavorando con un orario ridotto.

Tempo fa Boeri, e qualche giorno fa Ichino, hanno proposto in chiave anticrisi una formula che si potrebbe riassumere così: un contratto unico per tutti, a tempo indeterminato, con tutele crescenti nel tempo. Ichino ha proposto che alle garanzie vada di pari passo una flessibilità di tipo nordeuropeo, con un ente terzo “garante” del patto tra imprese e sindacati, che impegna entrambi a favorire la ricollocazione professionale.

Sono proposte che mi sembrano impraticabili nel contesto attuale. Occorre sfatare un equivoco: proprio in una stagione come questa non è vero che c’è spazio per riforme strutturali, proprio perché non c’è spazio per spese strutturali. Come dice l’Ue, ma anche il Fmi, servono provvedimenti di spesa timely, targeted, temporary, tempestivi, mirati e provvisori. Non è la stagione per le riforme strutturali degli ammortizzatori, come non lo è per mettere in discussione, come pure meriterebbe, il sistema delle tutele; e non è questa la stagione per riaprire la stessa riforma delle pensioni.

 

Possiamo permetterci dunque solo provvedimenti di contenimento ed urgenza?

Provvedere alle persone in una situazione carica di incertezze vuol dire soprattutto ripartire dalla persona, garantendo l’incremento delle conoscenze e delle competenze. È questa la sfida, che in realtà sta agli antipodi di una politica del tampone, perché l’unico impegno strutturale vero, che possiamo assumere senza impegni strutturali di spesa, è quello di investire sulla conoscenza delle persone.

Come lo si può attuare?

Richiede una leale collaborazione fra Stato e Regioni, perché sono le Regioni ad avere competenza sulla formazione, sono le Regioni ad avere la gestione del Fondo sociale europeo, e sono le Regioni che devono, con lo Stato, evitare che i progetti di formazione siano solo la “festa” dei formatori. A maggior ragione, in una stagione sociale come questa, anche la spesa del Fondo sociale europeo deve concorrere al reddito e deve responsabilizzare. Il voucher dovrebbe essere lo strumento tipico da utilizzare.

Quanto si attende che saranno efficaci le politiche legate agli ammortizzatori sociali? Sarà il Centro per l’impiego a fare il patto essenziale di servizio alla persona…

No, lo fa il sistema dei soggetti pubblici e privati accreditati. Anche qui la responsabilità è della Regione. L’importante è che nessuno sia lasciato solo, che il sistema cooperativo-competitivo tra pubblici e privati assista le persone ma senza che questo significhi buttare via soldi per coloro che sono esterni al soggetto vulnerabile. Dobbiamo investire direttamente sulle persone colpite dalla crisi.

…tanto attraverso il sostegno al reddito, quanto attraverso politiche attive.

Quanto attraverso l’attività di formazione. E parlo di formazione in impresa, formazione che avviene cioè in ambiente produttivo. Lo scopo non può non essere quello di agganciare all’impresa anche il disoccupato, che deve essere formato in ambito produttivo.

Il governo Prodi, con la manovra dello scorso anno, ha riabbassato i limiti di età precedentemente modificati dalla legge Maroni, andando controcorrente rispetto agli altri Paesi europei che tengono conto delle migliorate aspettative di vita. Il costo di questa manovra è stato stimato in 10 mld per i prossimi anni. A suo parere si può tornare indietro, o l’ondata di prepensionamenti prevista lo rende politicamente ed economicamente inutile?

La controriforma del governo Prodi è stata un grave errore. Oggi, tuttavia, non metterei subito all’ordine del giorno questo tema, perché abbiamo bisogno di stabilità. Tutti gli sforzi devono essere finalizzati a che le persone rimangano quanto più a lungo possibile nel mercato del lavoro, anche allungando effettivamente la vita lavorativa.