Il caso Madoff? La punta dell’iceberg, quella sufficiente a mandare a picco il Titanic della finanza mondiale con 50 miliardi perdite ma che nasconde altre piccole, ma devastanti insidie.
Ne sono certi nella City di Londra dove ormai si parla a chiare lettere di almeno una ventina di mini-casi Madoff ancora nascosti da qualche parte e pronti a esplodere. Fondi, di hedge (ovvero ontologicamente speculativi) e non solo, che potrebbero scatenare un ennesimo shock finanziario con perdite miliardarie e soprattutto deprimere ulteriormente il mercato e costringere alcune grandi banche a fare i conti con un epilogo molto simile a quello di Lehman Brothers: Morgan Stanley è la prima indiziata, a detta di molti insider nella capitale britannica.
L’entità dei crack, come preannunciato, sarà molto minore di quella che ha mandato a gambe all’aria la creatura quasi perfetta di Madoff, ma il combinato di più eventi in quasi contemporanea e l’instabilità dei mercati, spaventati dalle voci e non più solo dalla cifre, potrebbe portare con sé un inizio anno da incubo.
Inoltre con il passare dei giorni sempre a Londra cominciano a emergere particolari inquietanti rispetto proprio al crack Madoff e soprattutto alla filiale londinese del bancarottiere Usa, la Madoff Securities International, ritenuta uno snodo chiave dello “schema Ponzi” utilizzato per la truffa attraverso il “feeder fund” Fairfield Greenwich Uk: ironia della sorte, quest’ultimo era regolamentato dalla Fsa, l’autorità di controllo della Borsa di Londra.
Insomma, un cortocircuito che nella City sono certi possa nascondere altre sorprese sgradevoli e soprattutto esposizioni maggiori da parte di istituzioni che fino ad ora non sono emerse come vittime. Chi sapeva taceva, chi immaginava evitava di investire ma teneva il becco chiuso per non disturbare il manovratore e chi voleva fare soldi, tanti, subito, continuava a fidarsi delle sirene di Madoff nonostante giornalisti seri e preparati come Michael Ocrant, ora columnist dell’inserto Business del Sunday Times, avessero denunciato la natura fraudolenta dell’operazione nella primavera del 2001 dalle colonne della newsletter newyorchese dedicata agli hedge fund, Marhedge.
Viene quindi da chiedersi, ovviamente affidandosi alla categoria dell’iperbole, se Bernard Madoff sia poi così esecrabile visto che a differenza della truffa Parmalat – che pochi giorni fa ha visto la prima condanna comminata per Calisto Tanzi – il trader newyorchese non ha truffato poveri risparmiatori raggirati dalle banche collocatrici dei famigerati bond ma bensì proprio le banche d’affari di mezzo mondo, i fenomeni del turbo-capitalismo che si sono fatti mettere nel sacco come il turista cui Totò vende la fontana di Trevi.
Tanto più che una delle istituzioni finanziarie più colpite dalla crack Madoff è quella Nomura che ha rilevato le attività europee e del Far East della fallita Lehman Brothers: l’attività nella sede di Londra prosegue, sostanzialmente non è mai terminata nonostante i giornali si siano soffermati unicamente sulle coinvolgenti immagini dei dipendenti che uscivano con i cartoni dai loro uffici.
Esattamente 48 ore dopo il crack, infatti, PriceWaterhouseCoopers, il curatore fallimentare di Lehman, ha fatto giungere una mail ai dipendenti dicendo che il lavoro proseguiva. Non è né “un” sistema né “il” sistema a essere fallito ma una consorteria delinquenziale che rappresenta quanto di più distante dal concetto stesso di libero mercato: non si scommetteva su rischio, non si scommetteva sul ribasso magari azzardando oppure godendo di qualche informazione “privilegiata”, si gestiva un commercio di spazzatura che aveva come scopo finale scaricare il rischio su altri.
Nomura ha licenziato, ovviamente, visto che i dipendenti hanno fatto i conti con 5mila tagli non certo solo tra i traders e brokers: se c’è meno operatività ci sono ovviamente anche meno tecnici informatici, persone che puliscono gli uffici, dipendenti della mensa interna ma ha Nomura deciso di proseguire il business, quello vero. Peccato che, alla resa dei conti, abbia dimostrato anch’essa di essersi fidata di un David Copperfield della finanza. Tutto questo ci dimostra che non è il concetto di capitalismo da mettere in discussione bensì la categoria di alcuni capitalisti, quella più diffusa: ovvero chi cerca scorciatoie invece che rischi.
Forse questa crisi non avrà solo riflessi negativi, certo però le punizioni per questi peccati originali non sono finite. Occorre mettere in conto un sobrio momento di penitenza, nonostante bassi volumi e volatilità stiano facendo la fortuna di molti: ma anche loro, quando il ciclo tossico ancora in circolo sarà esaurito, solo allora, si potranno fare i conti.