Non si può proprio dire che il nuovo piano industriale di Telecom Italia, oppure l’aggiornamento del piano di febbraio, costituisca un rilancio del colosso delle telecomunicazioni. Ieri il titolo in Borsa ha avuto momenti altanelanti e, per alcune ore, di grande allarme, sfiorando un ribasso consistente (vicino al meno cinque) per poi riprendersi nel finale, ma sempre un ribasso dell’1,63 per cento. Certo il famoso “appeal” che si cercava sul mercato non è ancora arrivato e l’appuntamento è stato ancora una volta rinviato. E’ vero che nessuno si aspettava “fuochi di artificio”, ma dopo il lungo consiglio di aministrazione di martedì in piazza Affari, dopo la riservatezza dei consiglieri e l’appuntamento di fronte alla City londinese di ieri mattina, ci si aspettava francamente qualche cosa di più. Si può dire che questo nuovo piano industriale di Telecom Italia  sia figlio della crisi finanziaria mondiale, ma si deve aggiungere che è figlio anche di tanti problemi endemici, italiani, e di Telecom in particolare.



Qualche commentatore, alla luce dell’accoglienza troppo british della City, lo ha pure brutalmente stroncato, pensando che alla fine la scommessa brasiliana e argentina, tutta sudamericana, sia una sorte di “Mexico e nuvole” che non porta da nessuna parte. Forse è prematuro dirlo e magari saranno i fatti a smentire i denigratori. Ma intanto Telecom, tutta protesa a razionalizzare e a riorganizzare, programma l’uscita di altre quattromila persone, dopo aver già previsto un taglio di cinquemila unità. Alla fine, entro il 2011, saranno novemila i cosidetti esuberi e questo difficilmente sarà accettato dai sindacati. Lo stesso ministro al Welfare, Maurizio Sacconi, ha dovuto precisare che anche il Governo dovrà prender posizione di fronte a questa situazione.



Inutile girare intorno al problema. Uno dei punti forti del piano è che Telecom Italia dai 64 mila dipendenti del 2007 arriverà a quota 55mila nel 2011. L’amministratore delegato, Franco Bernabè, ha detto: «Ci sarà un nuovo confronto con i sindacati, ma sono fiducioso tenendo presente lo scenario di riferimento». In sintesi non si tratterebbe, secondo l’amministratore delegato, di un ridimensionamento della società, ma piuttosto di aumentarne l’efficienza, che, sempre secondo Bernabé, dovrebbe raggiungere il 40 per cento in più entro il 2011 con un abbattimento dei costi di oltre due miliardi di euro. E’ una prova molto dura.
Poi ci sono gli aspetti tecnologici, il “futuro”, le dismissioni di asset non strategici. Tra questi ultimi le attività broadband in Europa, Cuba e Ti Sparkle, dalla cui cessione dovrebbero arrivare circa tre miliardi di euro. Ma è solo una stima al momento, perché lo stesso amministratore delegato spiega: «Venderemo al momento giusto, all’acquirente giusto e al prezzo giusto».



Il fatto è che, aggiungendoci anche la riorganizzazione della società, ci si addentra in una serie di problemi indubbiamente importanti, ma lontani dalle dichiarazioni di settembre, quando si pensava ad aumenti di capitale, nuovi soci esteri (senza intaccare l’italianità di Telecom), sistemazione della questione della rete. Nelle ultime settimane si è aggiunta poi la ventilata cessione di Tim Brasil, al punto che martedì, per un problema di vincoli, si è discusso in consiglio di amministrazione senza i rappresentanti della spagnola Telefonica. E, mentre le voci fantasticavano su un’acquisizione in India, alla fine è saltato fuori che Telecom riordina, riorganizza, programma gli esuberi e parte per un suo   (speriamo confortante)  rilancio proprio dal mercato domestico italiano e da quello sudamericano, quindi dal Brasile, da Tim Brasil e dall’Argentina: “Telecom ribadisce il proprio impegno in Telecom Argentina dove intende rafforzare la propria presenza attraverso l’esercizio della call option e il conseguente aumento della quota azionaria in Sofora. L’operazione avverrà con il supporto di un partner locale e non comporta esborsi finanziari”.

Questa è forse la parte più convincente del piano industriale. Perché se una vendita di Tim Brasil, e magari anche una dismissione in Telecom Argentina, avrebbe fatto buona cassa e rilanciato magari, nel breve periodo, il titolo sui mercati, alla lunga Telecom Italia si sarebbe privata di una presenza da player in un mercato che è in grande espansione, soprattutto nel settore del mobile, che alla fine soppianterà del tutto quello fisso. Qui la scommessa di Telecom, di Bernabè e del presidente Gabriele Galateri di Genola è credibile.

Tuttavia, per uno sguardo complessivo, rimane l’interrogativo della “questione della rete”, su cui c’è un grande dibattito da mesi, tra Authority e vari interessati. Bernabè su questo punto è stato perentorio: Telecom non la cederà mai, perché indebolirebbe una capacità strategica costruita in lunghi anni. E quindi? Quale sarà la sistemazione finale? Solo l’attuale “open access”? Oppure una via di sistemazione c’è, in accordo con l’Authority e soprattutto con i soci “pesanti” di Telefonica che, a quanto si dice, hanno sempre ammonito a muso duro “giù le mani dalla rete”.

A questo punto, occorrerà vedere nei prossimi giorni come il mercato risponderà al piano industriale. Come reagiranno anche i sindacati, dopo le prime dichiarazioni non proprio pacifiche. Come si porrà la questione della rete di nuova generazione, su cui è impegnato anche il Governo. Il fatto attuale è che Telecom sembra ancora in stand by, con una voglia di abbattere costi e ridurre il suo indebitamento sempre più grave. Forse in attesa che, di fronte a una realtà strategica come questa, anche il Governo, o diciamo in generale la politica, dia il via libera per scelte un po’ più coraggiose.