«Dal 1989 è iniziato un periodo nuovo, quello del postmoderno. Da una parte esso esprime un nichilismo diffuso, che è una conseguenza della caduta del comunismo; dall’altra parte esprime un’ansia religiosa nascosta». Chi o che cosa può colmare questo bisogno oggi? Ilsussidiario.net ne ha parlato con il filosofo Massimo Borghesi. «Credo che la situazione odierna abbia una serie di caratteristiche simili a quelle del periodo precedente a Costantino, prima della decadenza. Non è l’apparato istituzionale, la struttura, ma è la semplicità di un incontro personale e autentico il modo migliore per trasmettere una proposta di vita».
Borghesi, lei spesso fa un parallelismo fra la situazione culturale dei cristiani di oggi con quella che si è vissuta alla fine dell’Impero Romano. Perché?
Il parallelismo è, soprattutto, con il III secolo, quando a Roma convivevano diverse religioni e culti, soprattutto orientali. È il periodo in cui la tolleranza si alterna con le persecuzioni specie dei cristiani. Un’epoca di grande sincretismo, di mescolanza di credenze. È un periodo di apparente ottimismo, che nasconde un profondo pessimismo sulla condizione umana. Comunque allora si è manifestata, come oggi, una profonda esigenza religiosa “sotterranea” che trova espressione in forme molto inusuali. Credo che la situazione odierna abbia una serie di caratteristiche simili a quelle del periodo precedente a Costantino, prima della decadenza.
Lei in questo contesto propone Sant’Agostino quale modello per stabilire una relazione adeguata tra fede e potere politico…
“La città di Dio” di Agostino è certamente un’opera di grande attualità e interesse. Innanzitutto perché profila una presenza cristiana in un mondo che era sostanzialmente pagano. E il neopaganesimo è proprio ciò che caratterizza il mondo di oggi. La nostra situazione non ha analogie con il Medioevo, ma sembra più simile a quella dei primi secoli del cristianesimo. È in tale contesto che Sant’Agostino pensa e configura la relazione della Città di Dio con la Città del mondo in maniera non teocratica o confessionale.
Ce la può illustrare?
Agostino è un realista, prende atto dell’autonomia del potere mondano, che è radicalmente secolarizzato, cioè privato delle caratteristiche di sacralità proprie del potere antico, e gli restituisce una funzione laica, quella di custode della pace, in particolare sociale. Per questo Ratzinger ha potuto scrivere più volte che in Agostino non c’è nessuna teologia politica, se con questa si intende una posizione che tende a sacralizzare il momento politico. Agostino desacralizza la politica che è l’arte del possibile e non del perfetto. Il potere politico ha la funzione di provare a pervenire al bene comune in una forma che consenta di mantenere la pace. Mi sembra che sia una grande lezione per il mondo di oggi, perché consente una relazione tra Chiesa e Stato senza che ci siano pretese di egemonia di una parte sull’altra.
Come andrebbe affrontato il problema della secolarizzazione, che oggi vediamo in tutta Europa?
Facendo una battuta potrei dire che si combatte contro un avversario molto debole. La Chiesa – al di là di alzare spesso la voce per far sentire quella dei più deboli – non ha certamente un ruolo per influenzare i costumi, la mentalità e la dinamica dei rapporti sociali di oggi. Quindi sparare contro la Chiesa è molto facile, non serve molto coraggio per farlo. Chi lo fa raccoglie sempre un certo consenso.
Cosa dovrebbe fare allora la Chiesa?
Da questo punto di vista direi che il problema della Chiesa è culturale. La Chiesa deve riuscire a trovare i canali e la forma con cui poter proporre la sua posizione, che non è solamente la sua, ma che è vitale per la democrazia, in un modo comprensibile anche agli altri. Una posizione che non sia semplicemente sotto l’etichetta “valori cattolici”, ma che risulti condivisibile e apprezzabile da parte del mondo laico. Finché la Chiesa viene identificata con una posizione clericale, verrà sempre respinta. La Chiesa deve riuscire ad aggiornare una proposta in tutti i settori (sociale, politico e culturale) che sia trasversale e che possa trovare interlocutori che valorizzino meglio della Chiesa stessa le posizioni che stanno a cuore a tutti gli uomini.
Lei prima accennava al neopaganesimo, che è forte soprattutto nei giovani. Come giudica questo fenomeno?
Nel 1989 è caduta l’ultima ideologia moderna, il marxismo, che proponeva una salvezza interamente mondana, alternativa a quella cristiana; l’ultima a proporre un ateismo sistematico. Dal 1989 è iniziato quindi un periodo nuovo, quello del postmoderno. Da una parte esso esprime un nichilismo diffuso, che è una conseguenza della caduta del comunismo: dopo aver creduto nel comunismo non si può credere più in niente. Dall’altra parte, il postmoderno esprime un’ansia religiosa nascosta. È scomparso, per esempio, il pregiudizio nei confronti dei cristiani. Finché il comunismo era vivo, il cristianesimo era considerato come qualcosa di pre-moderno. Un uomo moderno non poteva essere cristiano, così come un intellettuale o un giovane. Oggi non abbiamo più questo problema. Ma è cambiato anche il giudizio sulla posizione religiosa, si è costituita una religiosità “informe”.
Di che cosa si tratta?
I giovani non sanno nulla della fede, non sanno cos’è la Trinità o l’Incarnazione. Sono in qualche modo pagani, ma non atei. Sono persone che cercano confusamente il senso della vita. Questa religiosità sotterranea è una novità che interpella fortemente la Chiesa. Il problema riguarda ora proprio la Chiesa, che non può limitarsi a dire che il mondo è cattivo o avverso. Probabilmente se molti giovani oggi non pervengono alla fede è perché da parte della Chiesa non c’è una proposta umana, una testimonianza cristiana capace di raggiungerli nella loro condizione normale. In qualche modo il cristianesimo può raggiungere l’umanità di oggi, in particolare la gioventù, solo se si semplifica nel suo contenuto essenziale, nei suoi termini più elementari e semplici.
Cosa significa esattamente?
Che non è l’apparato istituzionale, la struttura, ma è la semplicità di un incontro personale e autentico il modo migliore per trasmettere una proposta di vita. È questo probabilmente il modo migliore per fare in modo che il cristianesimo incontri l’umanità di oggi. Il problema non è quindi organizzativo, ma sta negli incontri che rendono possibile la fede. Da questo punto di vista siamo di fronte a un’altra analogia con il cristianesimo dei primi secoli, perché, come ha detto Ratzinger nel suo libro “Guardare Cristo”, il cristianesimo dei primi secoli si è comunicato da incontro a incontro di uomini che nello svolgimento normale del loro lavoro hanno incontrato altre persone e hanno comunicato loro la novità affascinante della loro fede. E, aggiunge Ratzinger, misurando il risultato di questa evangelizzazione del mondo antico, si può misurare per contrario il fallimento spettacolare della catechesi moderna.
Catechesi moderna che è in molti casi una semplice ripetizione della dottrina, della morale, ma non ha quella semplicità a cui faceva riferimento prima…
È una catechesi moderna che crede che il cristianesimo possa diventare incidente mediante l’elaborazione di un discorso più o meno sofisticato, più o meno aggiornato, come se fosse un problema di parole, di linguaggio o di tecniche. La grande illusione è che si possa divenire cristiani mediante una tecnica cristiana più sofisticata. E su questo si sono spese milioni di parole e di documenti con risultati pressoché nulli. Questo meriterebbe una riflessione. Per dirlo in termini più chiari, gli ultimi 20 anni presentano una situazione umana e religiosa diversa. La Chiesa è in grado di raccogliere questo cambiamento?