Il costo del denaro, in Europa, è scivolato a quota 2,5%. Il dato più basso nella storia dell’euro, già toccato nel 2005. Intanto, la venerabile Bank of England ha fissato il finanziamento in sterline ai suoi minimi: solo in occasione del governo Churchill ai tempi dell’Impero il tasso di sconto scese al 2%. Negli Usa Ben Bernanke, presidente della Fed, ha già spiegato alla business community che si può arrivare al denaro a costo zero (cioè regalato…) e anche di più: basta impegnare le risorse della banca centrale, già largamente in deficit, per acquistare titoli a lungo termine per sostenerne il prezzo. E, tanto per non stare inerti, la Federal Reserve si impegnerà a tamponare la valanga dei foreclosures: 2,5 milioni di cittadini Usa a rischio di sfratto nel 2009. Un intervento si impone. Forse per salvare i senzatetto. Senz’altro per evitare che sulle banche piova come un boomerang un immenso patrimonio immobiliare, praticamente ingestibile.
Ma bando al cinismo. Molte cose buone possono nascere dalla lotta alla deflazione. Franklyn Delano Roosevelt, il presidente del New Deal, oltre alla Tennessee Valley Authority e a tante altre iniziative, stipendiò per alcuni anni gli artisti. Tra questi c’era Jackson Pollock: un suo quadro venduto oggi vale da solo un multiplo della spesa sostenuta allora per l’intero Public Works of Art Project. Consoliamoci, insomma, di fronte al fiume di denaro che esce dalle banche centrali di tutto il pianeta: nel medio termine l’investimento potrà dare copiosi frutti. Nel frattempo, abbiamo impegni più urgenti. Il mondo cerca di porre rimedio ai disastri dell’autunno più devastante dell’economia da settant’anni a questa parte. E non esiste altra terapia, nell’immediato, che una robusta trasfusione di sangue, pardon di denaro. È la terapia giusta? Senz’altro è la terapia necessaria. La crisi esplosa con il collasso di Lehman Brothers ha provocato la paralisi del sistema finanziario in Europa ed in America. Lo shock si è tradotto nella paralisi quasi fulminante del sistema economico reale: si è avuta la tragica conferma, così, che la finanza è il cuore che pompa sangue nell’organismo. Gli effetti, causa la profondità delle reti dell’economia globale non hanno risparmiato nessun segmento della delicata macchina che collega, come il battito della farfalla di Lorenz, ingranaggi lontani e, all’apparenza, del tutto indipendenti l’uno dall’altro. Per evitare che l’infarto sia irrimediabile
La cura dei tassi, insomma, è necessaria. Ma sarà sufficiente? Probabilmente no. Altrimenti, come nota con arguzia Alessandro Fugnoli, strategist di Abaxbank, la banca dello Zimbabwe che stampa ogni giorno la moneta necessaria per far fronte ad un’inflazione pari al 100%, sarebbe l’esempio da seguire. Ed invece in dieci anni, Mugabe ha dilapidato tre quarti del Pil di quello che fu uno dei Paesi africani più floridi, mentre oggi è devastato dal colera. Le trasfusioni servono, purché accompagnate da terapie più complesse e radicali. Per riavviare una macchina squassata nel profondo occorrerà una forte determinazione della nuova amministrazione americana, pari almeno a quella che Paul Volcker, allora alla guida della Fed, dimostrò a fine anni Settanta sradicando l’inflazione (ma nel 1982, a fine convalescenza, il Pil Usa scese dell’1,9% prima di ripartire). Sarà necessaria un’azione decisa, in grado di restituire fiducia ai banchieri della globalizzazione, che parlano cinese (“scottati” più di tutti dal crollo dei titoli della finanza Usa senza che Washington abbia tenuto in conto l’interesse degli azionisti).
E che potrà fare l’Italia nel frattempo? Inutile farsi illusioni: le munizioni a disposizione del governo sono poche. E bene fa Giulio Tremonti a non spararle in una volta sola: una crisi dell’euro, magari provocata dal crack di un Paese della nuova Europa fortemente indebitato con l’area di Francoforte (Ungheria, piuttosto che Polonia) metterebbe a serio rischio la solidità dell’Italia, bersaglio naturale della speculazione per il suo massiccio debito pubblico. Ma attenti a non sparare fuori bersaglio come sta accadendo per gli incentivi all’energia: un euro ben investito può crearne almeno tre. Nella sussidiarietà, soprattutto.