Black Friday, il venerdì nero, così è chiamato il venerdì dopo il Giorno del Ringraziamento, che rappresenta il calcio d’inizio della stagione degli acquisti per il Natale. Quest’anno su di esso si è focalizzata una grande attenzione dovuta all’attuale situazione di crisi economica. Il termine ha avuto origine a Filadelfia e, seppure inizialmente collegato alla confusione ingenerata nel traffico, è passato poi a indicare l’inizio di un periodo in cui i bilanci dei negozianti vanno in nero, cioè in positivo, dato l’incremento delle vendite. I negozi aprono presto alla mattina e vi sono acquirenti che passano la notte in fila, talvolta anticipando la cena del Ringraziamento, per essere i primi a comprare articoli che rischiano di andare rapidamente ad esaurimento.



Quest’anno si pensava che la frenesia degli acquisti sarebbe stata frenata dai crescenti tassi di disoccupazione e dai limiti più ristretti sulle carte di credito. La Federazione Nazionale dei Dettaglianti aveva previsto un calo dell’11% nel week end e la metà della gente intervistata ha dichiarato che quest’anno avrebbe speso meno, con madri che pensavano di rinunciare ad acquistare vestiti per sé per poter comprare giocattoli per i loro bambini. A quanto pare, almeno per il momento le cose sono andate diversamente. Le spese nei grandi magazzini sono aumentate del 3% rispetto allo stesso week end dell’anno scorso, approfittando dei forti sconti. Includendo anche le vendite online, 192 milioni di clienti hanno speso una media di 372 dollari in quattro giorni, il 7,2% in più dell’anno precedente. La frenesia degli acquisti ha purtroppo causato un incidente mortale a New York, dove un impiegato di Wal Mart è morto nella ressa della apertura alle 5,30 di mattina. Il week end quindi può forse essere considerato una smentita.



Migliaia di miliardi di dollari sono stati pompati nei mercati vacillanti, ci si aspetta il maggior livello di disoccupazione negli ultimi tre decenni e le organizzazioni assistenziali non riescono a star dietro a tutte le richieste dei nuovi “clienti”, per cibo, alloggio, luce e riscaldamento. Rimane da vedere se si continuerà a spendere così per tutta la stagione natalizia, ma non vi è gran mostra di frugalità, nonostante tutte gli inviti a risparmiare e ad estinguere i debiti. Gli americani per decenni sono stati incoraggiati a spendere. Dopo l’attentato dell’11 settembre, il presidente Bush ha esortato la nazione a continuare a far compere e perfino ad andare a Disney World: «Prendete le vostre famiglie e godetevi la vita, nel modo in cui lo desiderate». Come ha notato il professor Andrew Bacevich (docente di storia alla Boston University, già militare di carriera, un figlio morto in Iraq), gli americani non sono stati chiamati a fare sacrifici, come è normale in tempo di guerra. L’impulso all’acquisto di cose più a buon mercato non è una spinta personale o culturale: due terzi dell’economia deriva da questi acquisti. Il consumismo, che è praticamente identificato con le libertà americane, non ha nessun forte oppositore, come avvenne invece per un breve periodo nella controcultura degli anni ’60.



Anche simboli di ribellione come cuoio nero e chiodi d’argento sono stati assorbiti nel mercato da magazzini specializzati come Hot Topic. Tuttavia questa mentalità ha dei critici. David Schindler, direttore del trimestrale Communio, mette in evidenza i pericoli nascosti nel consumo: «Il liberismo (economico) occidentale è pernicioso in un modo cui non lo è il comunismo, perché il liberismo riempie con modalità impercettibili e invisibili la cultura della sua visione. Le culture abbracciano la libertà occidentale solo per scoprire – troppo tardi? – che sono state rese non libere dal consumismo. Uno capisce di aver perso la propria libertà quando viene schiacciato da un carro armato, ma non si è così rapidi nel rilevare la perdita di libertà che deriva dallo snervamento dell’anima e dalla schiavitù degli appetiti».

Il cardinale Joseph Ratzinger nel 1985 descriveva la vulnerabilità dei sistemi economici che abbandonano i riferimenti morali: «Sta sempre più diventando un fatto evidente nella storia economica che lo sviluppo di sistemi economici che si concentrino sul bene comune dipende da un determinato sistema etico che, a sua volta, può nascere ed essere sostenuto solo da forti convinzioni religiose. All’inverso, è diventato anche evidente che il declino di una simile disciplina può effettivamente causare il collasso delle leggi di mercato». Secondo tutti gli indicatori, le nostre abitudini di consumo sono su una rotta di collisione con la realtà; possiamo solo sperare in un atterraggio morbido. Vi è una certa ironia nel fatto che il 29 ottobre 1929, il giorno in cui il crollo dei mercati azionari segnò l’inizio della Grande Depressione, sia chiamato il Martedì Nero.