Il professor Alberto Quadrio Curzio paragona l’Italia, di fronte alla crisi finanziaria mondiale, a un grande paradosso. Ha scritto recentemente sul Corriere della Sera: “L’Italia si trova in una situazione per certi versi paradossale. E’ il Paese industriale che ha avuto meno contraccolpi dalla crisi ed è il Paese che corre in prospettiva più rischi”. Il paradosso contempla virtù inaspettate dell’Italia e nello stesso tempo rivela la necessità di guardare fin da adesso al futuro.
Con la consueta chiarezza, Alberto Quadrio Curzio lo spiega con pazienza e logica cristallina davanti a una tazza di tè in giorni di festa che precedono le “grandi feste” di Natale.
Professor Quadrio Curzio, la situazione non è facile, quali sono secondo lei i maggiori fattori di rischio?
Io vedo tre grandi rischi. Fermo restando che in Italia il tessuto di solidarietà, è straordinario. Lo si percepisce, lo si vede e lo si può documentare persino a livello comunale, oltre che dalla realtà delle piccole e medie aziende, dalla realtà delle famiglie italiane, oltre che dalla realtà delle banche del territorio italiano. Quando faccio queste considerazioni penso alle medie città italiane, che hanno a mio avviso delle caratteristiche comunitarie e solidaristiche, anche nelle loro tipologie apparentemente di carattere localistico, che sono eccezionali. Non dobbiamo mai dimenticare che in Italia siamo di fronte a un tessuto sociale che non si trova facilmente in tutto il mondo, che non ha paragoni facili in Europa e che è impossibile paragonarlo agli Stati Uniti.
Eppure, di fronte a un tessuto sociale di questo tipo, lei vede rischi e sono rischi che potrebbero diventare fatali nel lungo periodo?
Si, detto quanto è straordinario il tessuto italiano, io continuo a vedere tre pericoli e li indico come tali da diverso tempo. Nell’ordine potrei dire che il primo è il Sud d’Italia, il nostro Mezzogiorno, che economicamente e quindi socialmente non decolla, nonostante sia una terra con intelligenze straordinarie, con un capitale umano di primissima qualità, di cui il Nord Italia ha a lungo beneficiato e di cui possiamo ancora contare i benefici. Il secondo punto di pericolo e di rischio è l’ormai solita questione del nostro debito pubblico. Qui faccio una considerazione ulteriore. Non è certo questo il momento in cui si può riuscire a ridurre il debito pubblico. Però occorre considerare che in questi ultimi quindici anni, la riduzione è stata molto graduale. E quindi si può dedurre che in questo debito pubblico ci siano “rivoli”, “fiumi”, probabilmente delle “cascate” di spesa pubblica che non si riescono a mettere sotto controllo. Il terzo punto, che oggi potrebbe essere meno preoccupante, è rappresentato dal deficit energetico, che dovrebbe porre al nostro Paese una scelta anche costosa, ma di maggiore autonomia nel futuro. Vivere in una situazione di dipendenza così assoluta dalle importazioni e da combustibili di origine fossile, è inevitabilmente un rischio che è difficile calcolare. Insomma, la media dei Paesi industrializzati ha in campo energetico una capacità che intorno al venti per cento dovuta al nucleare. Noi rappresentiamo un’anomalia nell’ambito di quella che è una media normale.
Il rischio italiano, anche di fronte alla crisi finanziaria mondiale, è però un rischio a lungo termine.
Certo. Il fatto è che non riesco a vedere bene come si possano affrontare queste tre grandi problematiche, come si possano ricondurre alla situazione media degli altri paesi industrializzati. Oggettivamente negli ultimi quindici anni sono stati fatti alcuni progressi. Questo è un fatto indiscutibile. Anche per merito della ristrutturazione endogena che il sistema manifatturiero italiano ha fatto di se stesso. Non credo che si possa dire che questo successo sia riferibile alle politiche economiche.
Questa grande mentalità, questo stile di vita degli imprenditori italiani si può anche mettere in relazione con lo stile di vita delle famiglie italiane.
Certamente. C’è la prudenza, la cautela, la vocazione al risparmio. Io credo che l’Italia abbia un corpo sociale fatto di persone, di gente saggia. Guardiamo le cifre! Il risparmio familiare, che è intorno al 14 per cento del pil; l’indebitamento privato, che è solo il 30 per cento del pil: meno della metà della Francia e della Germania, mentre l’Inghilterra arriva al cento per cento. Da noi esiste ormai il “quarto capitalismo” ma anche il capitalismo delle pmi. Io credo che in Italia ci sia un tessuto agro-urbano delle piccole e medie città, un po’ intersecate tra campagna e industria. Questo è un grande tessuto di solidarietà. Tutto questo, per l’Italia, rappresenta un punto di forza straordinario. Guardare i rischi significa proprio tutelare a tempo questo grande tessuto economico e sociale.
Forse ci può essere d’aiuto anche un ulteriore abbassamento del costo del denaro. Ci si aspettava tutti che la Bce arrivasse a un due per cento. Tuttavia l’ultima decisione è stata una riduzione e, secondo alcuni, questo potrebbe anche tagliare gli interessi sul nostro debito pubblico. Rispetto alle previsioni ci si potrebbe ritrovare con un “tesoretto” nelle mani. Alla fine si potrebbe con interventi statali sollecitare la stessa domanda interna.
Si, penso che non sia sbagliato. Un “tesoretto” potrebbe venire da quello. Io penso che anche le stesse banche italiane potrebbero, nella misura in cui le famiglie sono disposte a risparmiare un po’ di meno, a dare esse stesse una maggiore spinta al sistema produttivo, con tassi di interesse più bassi, con dilazione dei pagamenti. Io credo che le cautele introdotte nel decreto 185 siano utili, anche se qualche liberista storcerà il naso. Ma all’Italia andrebbe bene così. Gli italiani hanno un patrimonio straordinario e ora devono cercare di operare con spirito cooperativistico, che in questo paese c’è. Questa è anche la strada per sollecitare la domanda interna. Ricordando che la domanda interna è ben vero che è quella finale di beni e consumi. Ma se si offrono delle buone condizioni di credito, anche le imprese possono rinnovare i loro impianti. Anche quella è domanda. La domanda interna è anche quella di investimento, che serve ad afferrare ben il momento in cui la crisi passerà.
(a cura di Gianluigi Da Rold)