L’inizio del 2008 è stato caratterizzato da fluttuazioni giornaliere negli indici azionari straordinariamente elevate, cogliendo di sorpresa molti investitori. Si è trattato di una turbolenza finanziaria rapida, diffusa e persistente, che ha continuato ad influenzare i mercati azionari per molti giorni dopo il suo inizio. Variazioni giornaliere nei prezzi azionari superiori al 5% sono state registrate in molti paesi, anche in mercati consolidati che non avevano visto simili livelli di volatilità a breve termine dal settembre 2001.
I mercati azionari non sono stati l’unica area finanziaria ad essere colpita. Il fenomeno del flight to quality, innescato da investitori sempre meno propensi al rischio e alla ricerca di maggiori livelli di sicurezza, ha generato un rialzo dei prezzi dei titoli di stato governativi. Anche il mercato delle opzioni ha sperimentato oscillazioni dovute agli alti livelli di incertezza. Il 22 gennaio, l’indice di volatilità del Chicago Board Option Exchange (Vix), che misura le aspettative di volatilità a breve termine del mercato azionario, ha toccato il 31%, dopo aver terminato il 2007 intorno al 20%. Quindi, secondo le opinioni dei traders che operano nel mercato delle opzioni, il livello della volatilità è cresciuto del 50% in meno di tre settimane.
Quali sono state le cause di queste decise variazioni nei prezzi delle attività finanziarie su scala globale? Innanzitutto è naturale cercare notizie che possano aver turbato i mercati, tenendo presente, tuttavia, che determinare ciò che muove i prezzi delle azioni è spesso un puzzle. Ad esempio, nessuna particolare notizia è stata identificata come causa plausibile del drammatico ribasso del 20% registrato nei prezzi delle azioni statunitensi il 19 ottobre 1987. Non c’è da invidiare i giornalisti che devono spiegare i movimenti del mercato anche quando non c’è nessun motivo chiaramente identificabile.
Allo stesso modo, è difficile trovare notizie specifiche che giustifichino il rapido declino dei prezzi avvenuto nel corso del gennaio 2008. Nonostante l’indiziato principale rimanga la crisi dei mutui subprime, durante l’autunno del 2007 arrivarono notizie anche peggiori, senza però lo stesso impatto violento sui prezzi delle azioni.
Un altro puzzle è questo: sebbene una larga parte dei movimenti dei prezzi venisse attribuita all’incertezza sullo stato dell’economia statunitense, gli indici azionari di alcuni mercati europei e asiatici hanno mostrato livelli di volatilità ben superiore a quelli rilevati negli Stati Uniti.
Per spiegare il recente nervosismo nei mercati azionari, occorre tener conto dei cambiamenti nella fiducia degli investitori. La revisione operata dagli investitori nelle loro aspettative sull’esposizione del settore finanziario ai mutui subprime, il declino dei prezzi del mercato immobiliare ed il rallentamento della crescita economica sembrano aver avuto un effetto composito. Si potrebbe dire che i mercati azionari hanno sottovalutato gli effetti delle notizie dei mutui subprime nell’agosto e settembre 2007, ritenendo che i problemi finanziari sarebbero rimasti circoscritti senza coinvolgere l’economia in generale. Solo ora i rischi stanno diventando maggiormente evidenti e perciò assistiamo ad una reazione più decisa da parte degli investitori.
Una ulteriore fonte di incertezza, spesso meno discussa, è la possibilità che le difficoltà in uno specifico settore finanziario causino una liquidazione di portafoglio, coinvolgendo un gruppo di investitori molto più ampio. Questa è una spiegazione plausibile delle ingenti perdite subite nell’agosto 2007 dai fondi di investimento basati su strategie quantitative, che sono stati colpiti in maniera simile dalle insolite oscillazioni nei prezzi delle azioni.
La crescente incertezza sulle prospettive dell’economia, ha spinto la Federal Reserve e i responsabili della politica economica americana ad agire in modo deciso. Rimane da vedere l’efficacia di questi interventi di politica monetaria e fiscale. Un taglio nei tassi d’interesse a breve termine di solito richiede molti mesi per avere un impatto sull’economia. È quindi particolarmente sorprendente la decisione del 21 gennaio della Fed di ridurre dello 0,75% il tasso dei fed funds, dato che un taglio del tasso d’interesse era ampiamente atteso per la settimana successiva. La caduta dei prezzi azionari ha probabilmente pesato sulla decisione della Fed di tagliare in modo così consistente i tassi d’interesse.
Questi interventi di politica economica non possono essere attuati senza costo ed il governo statunitense sta già fronteggiando un ampio deficit di bilancio. Una politica monetaria più accomodante aumenta il pericolo di moral hazard, premiando quegli individui e quelle istituzioni che, quando il mercato immobiliare era in forte crescita e il credito era facile da ottenere, hanno rischiato in modo eccessivo, senza richiedere un’adeguata compensazione per il rischio che si stavano assumendo. Inoltre, le aspettative degli investitori di ulteriori riduzioni del tasso d’interesse nel caso di sostanziali ribassi nei mercati azionari, potrebbero gonfiare i prezzi delle attività finanziarie.
Vi sono altri aspetti che vale la pena di evidenziare. Innanzitutto, sembra probabile che l’incertezza sui mercati finanziari sia destinata a perdurare per qualche tempo. Le conseguenze della crisi del mercato subprime negli Stati Uniti evolvono continuamente e permangono dubbi sulle dimensioni di eventuali perdite a carico delle istituzioni finanziarie americane ed internazionali. La mancanza di trasparenza sul reale coinvolgimento delle diverse istituzioni finanziarie sta influenzando negativamente le condizioni della liquidità nei mercati finanziari e l’accesso al credito, e potrebbe richiedere del tempo per essere risolta.
Se a tutto ciò si aggiunge l’evidente rallentamento nel mercato immobiliare statunitense, e l’indebolimento del tasso di crescita dell’economia, è facile capie perché i mercati siano preoccupati per i rischi di una recessione statunitense e persino globale. Per di più, è verosimile che, una recessione, qualora avvenga, si manifesti gradualmente e serva del tempo per valutarne la durata e le dimensioni.
I mercati azionari non sono stati l’unica area finanziaria ad essere colpita. Il fenomeno del flight to quality, innescato da investitori sempre meno propensi al rischio e alla ricerca di maggiori livelli di sicurezza, ha generato un rialzo dei prezzi dei titoli di stato governativi. Anche il mercato delle opzioni ha sperimentato oscillazioni dovute agli alti livelli di incertezza. Il 22 gennaio, l’indice di volatilità del Chicago Board Option Exchange (Vix), che misura le aspettative di volatilità a breve termine del mercato azionario, ha toccato il 31%, dopo aver terminato il 2007 intorno al 20%. Quindi, secondo le opinioni dei traders che operano nel mercato delle opzioni, il livello della volatilità è cresciuto del 50% in meno di tre settimane.
Quali sono state le cause di queste decise variazioni nei prezzi delle attività finanziarie su scala globale? Innanzitutto è naturale cercare notizie che possano aver turbato i mercati, tenendo presente, tuttavia, che determinare ciò che muove i prezzi delle azioni è spesso un puzzle. Ad esempio, nessuna particolare notizia è stata identificata come causa plausibile del drammatico ribasso del 20% registrato nei prezzi delle azioni statunitensi il 19 ottobre 1987. Non c’è da invidiare i giornalisti che devono spiegare i movimenti del mercato anche quando non c’è nessun motivo chiaramente identificabile.
Allo stesso modo, è difficile trovare notizie specifiche che giustifichino il rapido declino dei prezzi avvenuto nel corso del gennaio 2008. Nonostante l’indiziato principale rimanga la crisi dei mutui subprime, durante l’autunno del 2007 arrivarono notizie anche peggiori, senza però lo stesso impatto violento sui prezzi delle azioni.
Un altro puzzle è questo: sebbene una larga parte dei movimenti dei prezzi venisse attribuita all’incertezza sullo stato dell’economia statunitense, gli indici azionari di alcuni mercati europei e asiatici hanno mostrato livelli di volatilità ben superiore a quelli rilevati negli Stati Uniti.
Per spiegare il recente nervosismo nei mercati azionari, occorre tener conto dei cambiamenti nella fiducia degli investitori. La revisione operata dagli investitori nelle loro aspettative sull’esposizione del settore finanziario ai mutui subprime, il declino dei prezzi del mercato immobiliare ed il rallentamento della crescita economica sembrano aver avuto un effetto composito. Si potrebbe dire che i mercati azionari hanno sottovalutato gli effetti delle notizie dei mutui subprime nell’agosto e settembre 2007, ritenendo che i problemi finanziari sarebbero rimasti circoscritti senza coinvolgere l’economia in generale. Solo ora i rischi stanno diventando maggiormente evidenti e perciò assistiamo ad una reazione più decisa da parte degli investitori.
Una ulteriore fonte di incertezza, spesso meno discussa, è la possibilità che le difficoltà in uno specifico settore finanziario causino una liquidazione di portafoglio, coinvolgendo un gruppo di investitori molto più ampio. Questa è una spiegazione plausibile delle ingenti perdite subite nell’agosto 2007 dai fondi di investimento basati su strategie quantitative, che sono stati colpiti in maniera simile dalle insolite oscillazioni nei prezzi delle azioni.
La crescente incertezza sulle prospettive dell’economia, ha spinto la Federal Reserve e i responsabili della politica economica americana ad agire in modo deciso. Rimane da vedere l’efficacia di questi interventi di politica monetaria e fiscale. Un taglio nei tassi d’interesse a breve termine di solito richiede molti mesi per avere un impatto sull’economia. È quindi particolarmente sorprendente la decisione del 21 gennaio della Fed di ridurre dello 0,75% il tasso dei fed funds, dato che un taglio del tasso d’interesse era ampiamente atteso per la settimana successiva. La caduta dei prezzi azionari ha probabilmente pesato sulla decisione della Fed di tagliare in modo così consistente i tassi d’interesse.
Questi interventi di politica economica non possono essere attuati senza costo ed il governo statunitense sta già fronteggiando un ampio deficit di bilancio. Una politica monetaria più accomodante aumenta il pericolo di moral hazard, premiando quegli individui e quelle istituzioni che, quando il mercato immobiliare era in forte crescita e il credito era facile da ottenere, hanno rischiato in modo eccessivo, senza richiedere un’adeguata compensazione per il rischio che si stavano assumendo. Inoltre, le aspettative degli investitori di ulteriori riduzioni del tasso d’interesse nel caso di sostanziali ribassi nei mercati azionari, potrebbero gonfiare i prezzi delle attività finanziarie.
Vi sono altri aspetti che vale la pena di evidenziare. Innanzitutto, sembra probabile che l’incertezza sui mercati finanziari sia destinata a perdurare per qualche tempo. Le conseguenze della crisi del mercato subprime negli Stati Uniti evolvono continuamente e permangono dubbi sulle dimensioni di eventuali perdite a carico delle istituzioni finanziarie americane ed internazionali. La mancanza di trasparenza sul reale coinvolgimento delle diverse istituzioni finanziarie sta influenzando negativamente le condizioni della liquidità nei mercati finanziari e l’accesso al credito, e potrebbe richiedere del tempo per essere risolta.
Se a tutto ciò si aggiunge l’evidente rallentamento nel mercato immobiliare statunitense, e l’indebolimento del tasso di crescita dell’economia, è facile capie perché i mercati siano preoccupati per i rischi di una recessione statunitense e persino globale. Per di più, è verosimile che, una recessione, qualora avvenga, si manifesti gradualmente e serva del tempo per valutarne la durata e le dimensioni.