La crisi dei mutui subprime sembra aver mostrato i limiti dei sistemi preposti alla vigilanza dei mercati finanziari. È di quest’idea anche Donato Masciandaro, professore di economia alla Bocconi e direttore del Centro Paolo Baffi sulle banche centrali e sulla regolamentazione finanziaria, il quale aggiunge che «accanto a un mercato finanziario mondiale sempre più integrato e globale, esistono architetture di vigilanza obsolete».
Questo non vale solo per gli Stati Uniti, ma anche per l’Europa, dove esiste «un sistema finanziario integrato, soprattutto sugli scambi all’ingrosso, e un sistema di vigilanza che segue i confini nazionali dei 25 stati membri, con strutture differenziate. Vi sono Paesi che hanno un solo supervisore e altri, come il nostro, con più autorità di controllo. Da un punto di vista logico, questo status quo non va bene». Sarebbe meglio, infatti, centralizzare la supervisione, razionalizzando al tempo stesso le strutture di controllo all’interno dei singoli Paesi. Per arrivare a questo risultato, «il legislatore europeo – spiega Masciandaro – dovrebbe creare il cosiddetto “ventiseiesimo stato”, ovvero un sistema di vigilanza a livello comunitario, che si affianchi a quelli nazionali, composto da membri delle autorità statali, in modo da garantire scambi informativi tra i due livelli. Dato che esisterebbe un rappresentante per ogni Paese, ci sarebbe un incentivo a razionalizzare il sistema di controllo a livello nazionale, perché è evidente che in un Paese che ha 4-5 authority si dovrà prima raggiungere un accordo per scegliere un rappresentante per il livello federale, mentre un Paese con una sola autorità non avrà questo problema». Un sistema simile a quello statunitense, in cui «gli intermediari possono scegliere se essere federali, controllati quindi dall’autorità federale, o statali».
Masciandaro è sicuro che «le grandi banche europee sarebbero molto interessate ad avere un sistema centralizzato, perché così avrebbero un unico interlocutore anziché svariati controllori». Questa concorrenza tra regolatori, simile a quella d’oltreoceano, «farebbe tesoro dell’esperienza americana, non ripetendone gli errori. Soprattutto, ci sarebbe un’unica authority federale, mentre negli Usa ve ne sono quasi 10».
È chiaro che per realizzare questo disegno occorrerà il contributo della politica, anche se, ammette il professore, «i politici, specie nel nostro paese, tendono a intervenire sul sistema di vigilanza solo quando i buoi sono scappati e le cose vanno male, così da mostrarsi capaci di produrre soluzioni e incassare il loro “dividendo elettorale”. È bene, però, che la politica ridisegni la vigilanza quando i buoi sono ancora nella stalla».
Nel frattempo, in Europa, sta – seppur lentamente – proseguendo il processo di Basilea 2, «che – ricorda Masciandaro – dà molto spazio nella definizione delle regole agli intermediari e alle agenzie di rating, con l’idea che il mercato sa più dei supervisori. Questo principio di per sé è giusto, ma non vale sempre». Non è il caso di tornare indietro, perché «provare a creare regole comuni per tutti i mercati aiuta il mercato a divenire sempre più intergrato». Basterebbe quindi «ridurre il grado di discrezionalità che hanno gli intermediari, filtrare il meccanismo di peso dei giudizi delle agenzie di rating, dotare i supervisori di più risorse umane perché abbiano una migliore conoscenza del mercato. Non si tratta di cambiare l’architettura di Basilea 2, ma di ricalibrare i pesi relativi di banche, agenzie di rating e autorità di vigilanza».
Certamente la crisi, oltre agli effetti devastanti sui mercati, ha evidenziato anche un problema di educazione finanziaria. «Ritengo – conclude Masciandaro – che sia necessaria un’azione primaria già nell’insegnamento scolastico, perché la discrasia tra conoscenze economiche e finanziarie effettive e complessità del sistema è cresciuta parecchio».



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