Ahimè sì, anche se questa sembra piuttosto una tappa. Alcuni passaggi devono ancora essere formalizzati, dopo la risposta formale del governo arrivata ieri, ci dovranno essere altri pareri come quello dell’Antitrust Europeo, della Consob. L’approvazione finale dovrà darla il governo e tra 60 giorni, con ogni probabilità, ci sarà un governo diverso, quindi non scriverei ancora la parola fine, anche se un passo in avanti è stato fatto.
Alitalia non può fallire, almeno non immediatamente, perchè secondo la Prodi bis le imprese che hanno più di 10.000 dipendenti, prima del fallimento devono passare un periodo di amministrazione controllata, effettuata da un commissario nominato dal governo, che ha il compito di garantire la continuità aziendale e di difendere l’occupazione. Lo stesso che è accaduto per la Parmalat per intenderci.
La storia di Alitalia è complessa e gli errori risalgono a svariati anni di cattiva gestione. Gli ultimi bilanci positivi sono stati nel 1997-1998, quando l’Ad era Centella e la proposta industriale era quella di arrivare a un accordo con Klm basato su una fusione delle due società e del management. Poi Klm se ne andò pagando una penale di 500 milioni di dollari, perché si rese conto che le incertezze del governo e della compagnia non gli avrebbero consentito di perseguire lungo la linea tracciata, che prevedeva un forte investimento su Malpensa la quale sarebbe diventato l’hub principale per l’Italia. In questi ultimi anni ci sono stati tanti errori, a Roma ma anche a Milano, come il mancato ridimensionamento dello scalo di Linate, che avrebbe consentito il definitivo sviluppo di Malpensa. Il mantenimento di due reti, una su Linate per chi vuole andare a Milano città, e una su Malpensa per i voli intercontinental, è stato un aggravio di costi per Alitalia. Certo quello che si sta prefigurando oggi danneggia tutti: Malpensa, Alitalia e l’economia italiana.
Tre quarti dei voli che oggi Alitalia fa su Malpensa saranno spostati a Fiumicino con un’operazione di de-hubbing, cioè di ridimensionamento dello scalo milanese ad aereoporto marginale. Le conseguenze sono chiare: Malpensa perderà da 6 a 8 milioni di passeggeri, ci saranno da 5000 a 7500 esuberi, e si interromperà un processo virtuoso di crescita. Malpensa 10 anni fa dava lavoro direttamente e indirettamente a 13mila persone, nel 2005 era già salita a 80mila e per il 2015 si sarebbe arrivati a 120mila posti di lavoro. Oltre ai 7500 esuberi ci saranno quindi 40mila nuovi posti mancati. È prevista inoltre una perdita del Pil pari a 1,3 miliardi di euro. Tutto questo per far risparmiare ad Alitalia 250 milioni di euro l’anno, che tra l’altro sono meno della metà delle sue perdite annuali. Ma la situazione peggiorerà anche per Alitalia, che oggi guadagna 4,5 miliardi di euro facendo viaggiare 24 milioni di passeggeri. Se Malpensa ne perde da 6 a 8 milioni è evidente che ci sarà un impatto sui ricavi, non tutti i passeggeri si sposteranno infatti a Roma. Per fare un esempio, il volo Malpensa-Boston dura 8,50 ore, passando da Roma il volo passa ad un intervallo che va da 11,50 ore a 13,40 ore. Probabilmente questo utente sarà portato a prendere un volo da Parigi, impiegando 9,45 ore. Se anche solo un terzo di questi 6-8 milioni di passeggeri di Malpensa non si trasferirà su Roma, Alitalia avrà perdite maggiori dei benefici.
Esistono le regole “Open Sky” che liberalizzano il volo verso gli Usa, in questo caso sarà possibile. Per tutti gli altri paesi extraeuropei, i voli intercontinentali sono invece disciplinati da accordi bilaterali che stabiliscono quanti voli si possono fare da un paese all’altro, da quale aereoporto e con quale compagnia aerea. Un terzo di questi accordi prevede che a volare sia Alitalia. Proprio per questo avevamo proposto una moratoria dell’attuazione del piano di Alitalia per 3 anni: avremmo potuto modificare le regole e consentire al mercato di riempire il buco lasciato libero da Alitalia. Ma questa non accadrà, il taglio dei voli sarà operativo dal 30 marzo, e da quella data solo pochi voli potranno essere sostituiti.
Non c’è altra spiegazione se non quella di cannibalizzare un mercato che è il terzo o quarto in Europa. Proprio perché è un mercato così forte, ci sarebbero potute essere offerte alternative. La scelta di rinunciare ad una leva strategica come il trasporto aereo è una scelta grave per un paese che vuole essere moderno e avanzato.
Quando le società vengono gestite con un approccio che mette al centro le regole e gli interessi della politica e non quelli del mercato i risultati sono non solo insoddisfacenti ma anche dannosi. Chi aveva responsabilità politiche ha scelto una strada che gioverà solo ad Air France, che è interessata non ad Alitalia ma al mercato italiano, in particolare a quello del nord, dove si concentrano i due terzi dei biglietti aerei venduti nel nostro paese e che, ovviamente, cercherà di spostare questi passeggeri verso il proprio hub di Parigi. Lo stesso amministratore delegato di Air France aveva dichiarato che, senza un forte down sizing di Malpensa, Air France non sarebbe stata interessata ad Alitalia.