In questa campagna elettorale sembra maturare una condivisione bipartisan dell’esigenza di ridurre le tasse. In effetti, lo spettro di Visco, che riempie le casse ma svuota le urne, tutti lo stanno evitando con attenzione. Il problema è se le promesse elettorali sono credibili o meno. Boeri e Guiso su Repubblica prevengono l’obiezione offrendo alla politica “un progetto credibile per ridurre le tasse”. Si tratta di un progetto elaborato su un presupposto di lungo periodo che all’apparenza risulta plausibile e avveduto: congelamento della spesa pubblica, contemporanea restituzione del gettito tributario derivante dalla crescita reale, il tutto in un’ottica pluriennale di legislatura. Un piccolo particolare permette però di metterlo radicalmente in discussione. Il fatto davvero “incredibile” di questo progetto “credibile” è che non fa alcuna menzione del federalismo fiscale e prefigura il congelamento della spesa pubblica secondo una logica totalmente centralistica. Il progetto non sembra quindi minimamente considerare la specificità dell’attuale assetto istituzionale italiano, dove da un lato con la riforma costituzionale del 2001 sono state decentrate alle Regioni competenze legislative (e quindi di spesa) con un livello addirittura superiore a quello del Canada, ma dall’altro si continua a finanziarle con un sistema di finanza derivata, fatto di ripiani statali a piè di lista stile anni Settanta.
Nell’ultima finanziaria, ad esempio, nonostante l’organizzazione sanitaria sia ormai materia di competenza primaria delle Regioni, lo Stato ha erogato a favore di cinque Regioni del Sud in extradeficit sanitario ben 9,1 miliardi di euro. È un esempio eloquente: quale interesse può avere un’amministrazione regionale a combattere l’inefficienza se poi lo Stato ripiana ogni deficit mettendolo sul conto della fiscalità generale, cioè a carico di tutti gli italiani? Questo episodio fa dire che senza federalismo fiscale nella situazione istituzionale italiana è impossibile pensare di controllare la spesa pubblica; al massimo si possono introdurre meccanismi che creano effetti perversi perché premiano l’inefficienza e disincentivano i comportamenti virtuosi. Infatti, il congelamento della spesa pubblica auspicato da Boeri e Guiso vorrebbe dire di fatto stabilizzare la spesa storica di Regioni e Enti locali. In altre parole, vorrebbe dire consacrare il principio per cui chi più ha più speso in passato può continuare a farlo, mentre chi ha speso meno – perché è stato più efficiente – deve continuare a spendere di meno. Verrebbe infatti bloccata la spesa del Molise che serve a mantenere quasi trecento dipendenti regionali ogni centomila abitanti, allo stesso modo di quella della Lombardia che ne mantiene quarantatre.
Senza rovesciare questa dinamica e senza creare reali incentivi all’efficienza non si potranno creare sufficienti motivazioni per realizzare interventi di razionalizzazione della spesa pubblica. L’esperienza della sanità è molto significativa al riguardo: i costi per l’erario sono quasi raddoppiati in 10 anni passando dai 55,1 miliardi del 1998 ai 101,4 miliardi del 2008; e questo nonostante le misure di contenimento previste nelle leggi finanziarie di quegli anni. Lo stesso è avvenuto per la spesa delle amministrazioni centrali dello Stato: come recentemente ha dimostrato una ricerca condotta da Astrid, essa è enormemente aumentata negli ultimi anni, nonostante il (finto) federalismo.
In conclusione: in assenza di federalismo fiscale non si potranno attivare meccanismi di responsabilizzazione verso gli elettori locali (accountability), e non si potrà favorire la trasparenza delle decisioni di spesa e la loro imputabilità. Senza queste condizioni la spesa pubblica in Italia non potrà essere contenuta in modo efficace e senza gravi distorsioni. C’è quindi da augurarsi che il richiamo al federalismo fiscale, nei vari programmi elettorali, non nasca come motivazione di bandiera, ma da una seria consapevolezza della gravità della situazione italiana. Napoli docet.



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