Dati recenti (il Libro bianco sul Welfare del 2003) stimano intorno ai 140/170 mila euro la spesa che una famiglia sostiene per mantenere, istruire ed educare un figlio fino alla maggiore età. Si tratta cioè di una spesa che oscilla tra 7.700 e i 9.400 euro all’anno. Il fisco italiano riconosce però una detrazione annua pari a solo poco più di 800 euro, che equivale ad un abbattimento dell’imponibile sui 3.000 euro per figlio a carico. In altre parole, il fisco italiano riconosce molto meno della metà della spesa effettivamente sostenuta e tassa (meglio: “tartassa”) i genitori sul resto, come se questa ingente somma (dagli 80 ai 90mila euro) fosse rimasta nelle casse domestiche, a disposizione della famiglia. Tartassa una ricchezza che non esiste più e lo fa non solo rispetto ai contribuneti facoltosi, ma anche nei confronti di un operaio che guadagna poco più di mille euro al mese.
Si tratta di una palese violazione del principio di capacità contributiva dell’art. 53 della Costituzione, la cui formulazione venne voluta dai costituenti proprio per salvaguardare quella quota di reddito necessaria al mantenimento personale e familiare. La capacità contributiva, ovvero la capacità di concorrere alle spese pubbliche, inizia infatti solo dopo aver assolto a queste primarie esigenze della vita. Si tratta di un dato evidente, che ad esempio da tempo ha dettato la linea della Corte costituzionale tedesca, grazie alla quale oggi in Germania si possono dedurre fino a 15mila euro annui per ogni figlio a carico.
Se la spesa effettivamente sostenuta per i figli è ampiamente riconosciuta dal fisco tedesco, quello italiano è invece ancora gravemente miope: non distingue tra soldi spesi al casinò o per comperare un cavallo o un auto di lusso e quelli spesi per i figli. Queste spese vengono assimilate e ritenute di fatto fiscalemente irrilevanti dalla legislazione italiana.
In questo modo, il fisco italiano obietta ogni anno ai genitori l’evitabilità dei figli, dal momento che la spesa sostenuta a questo riguardo viene considerata solo per un terzo (3.000 euro), mentre sui restanti due terzi (6.000 euro) si pagano imposte come se questi fossero stati dissipati o spesi per beni non necessari e quindi non meritevoli di considerazione fiscale. Ben altro ragionamento ha fatto la Corte costituzionale tedesca: “Lo Stato che riconosce la dignità dell’uomo come massimo valore giuridico … e tutela il matrimonio e la famiglia non può porre sullo stesso piano i figli e la soddisfazione di altre esigenze private”. Al legislatore fiscale, di conseguenza, è precluso “attingere ai mezzi economici indispensabili al mantenimento dei figli nello stesso modo con cui attinge ai mezzi utilizzati per la soddisfazione di esigenze voluttuarie”. Il legislatore fiscale, in altri termini: “deve rispettare la decisione dei genitori a favore dell’avere dei figli e non può obiettare loro l’evitabilità dei figli (Vertneidbarkeit von Kindern) allo stesso modo con cui obietterebbe l’evitabilità di altri costi per la conduzione della vita”.
Quello della Corte costituzionale tedesca è un ragionamento che dovrebbe essere fatto anche riguardo alla legislazione italiana, tenuta a rispettare una Costituzione che sulla famiglia è ancora più garantista di quella tedesca. Oltre agli art. 53 e 29 bisogna ricordare infatti l’art. 31 della Costituzione: “La Repubblica agevola con misure economiche e altre provvidenze la formazione della famiglia e l’adempimento dei compiti relativi, con particolare riguardo alle famiglie numerose”. Che ne è di queste disposizioni costituzionali in Italia, dove si possono dedurre moltissime cose (le donazioni ai partiti o le spese per la palestra e tanto altro), ma non le spese effettivamente sostenute per i figli? Non si dica che mancano le risorse: sarebbe un argomento con qualche parvenza di credibilità solo una volta che il sistema tributario fosse stato ripulito da tutte quelle esenzioni, detrazioni e deduzioni che non sono richieste da un valore costituzionale primario e che sono state introdotte spesso solo per soddisfare gli appetiti delle varie clientele parlamentari.
Quest’anno si celebrano i sessant’anni della Costituzione italiana. Forse proprio riguardo al riconoscimento fiscale della famiglia si consuma una delle sue più clamorose inattuazioni. In Italia la spesa sociale per la famiglia è meno della metà della media europea: 3,3% del Pil rispetto al 7,7%. La spesa pensionistica italiana, invece, è decisamente superiore alla media europea: dal 1975 al 2000 è cresciuta di dodici volte, quella per gli assegni al nucleo familiare di quattro volte.
Inoltre, la recente trasformazione delle deduzioni per i figli a carico in detrazioni, ha determinato l’aumento delle basi imponibili delle addizionali regionali. Quel poco che il Governo aveva dato in più alle famiglie lo scorso anno è stato rimangiato dalle addizionali regionali sull’imposta sul reddito, che (in forza della legge statale: una Regione che pur volesse non potrebbe fare altrimenti) si calcolano su una base imponibile aumentata per effetto della trasformazione in detrazioni. Si è all’assurdo per cui un single paga la stessa addizionale regionale di un padre di famiglia con 7 figli a carico. È un’altra palese violazione della Costituzione: più precisamente del principio di eguaglianza.
In sintesi: una famiglia francese o tedesca, da tanti punti di vista (sistema sociale e sistema fiscale) è enormemente più tutelata di una famiglia italiana, che invece viene vessata dal fisco che preleva imposte su una capacità contributiva che non esiste, in violazione della Costituzione.



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