E’ probabilmente un nuovo passaggio cruciale della storia di Telecom Italia. Il 14 aprile, in incredibile concomitanza con i risultati elettorali, si costituirà il nuovo consiglio di amministrazione del colosso delle telecomunicazioni italiane. I candidati a entrare nel nuovo board hanno nomi di “peso”, sia per quello che rappresentano come realtà finanziaria, sia per le loro specifiche competenze. Accanto al ticket formato da Gabriele Galateri di Genola, presidente, e da Franco Bernabé, amministratore delegato, ci saranno i rappresentanti dei grandi soci di Telco, la newco che ha rilevato la quota di Olimpia di Marco Tronchetti Provera e di Pirelli e che ha arrotondato proprio in questi giorni la sua partecipazione, portandola al 24,5 per cento del capitale sociale. Innanzitutto i big della spagnola Telefonica, Cesar Alierta e Julio Linares; poi i rappresentanti di Mediobanca, Renato Pagliaro e Tarak Ben Ammar; quindi quelli di Intesa-San Paolo, Gaetano Micciché e Elio Catania; infine Aldo Minucci (che è anche presidente di Telco) per Generali accanto ad altri due consiglieri da designare e Gianni Mion per Sintonia della famiglia Benetton. Ufficialmente, i nomi dei rappresentanti dei “grandi soci” saranno stabiliti venerdì prossimo, ma non dovrebbero esserci sorprese. E’ un nucleo forte, che sembra credere e investire nel futuro di questa società che, dal momento della privatizzazione piuttosto avventurosa, ha avuto in questi anni una storia travagliata, ricca più di colpi di scena che di strategie industriali e ha sofferto di un complicato intreccio con la politica che non le ha affatto giovato.
Le sofferenze di Telecom sono esplose in maniera clamorosa nel 2006, quando Tronchetti Provera cercava un socio industriale e, nello stesso tempo, il Governo di Romano Prodi, attraverso un improvvisato “piano artigianale” del consigliere economico Angelo Rovati, prevedeva uno scorporo della rete e altre ristrutturazioni aziendali che mettevano letteralmente in fuga investitori come la stessa Telefonica e la News Corp di Rupert Murdoch. Ci sono voluti quasi due anni per rimettere in carreggiata Telecom Italia, dopo uno scontro durissimo tra l’azionista di riferimento di allora e il Governo, il passaggio della presidenza di Guido Rossi e poi quello di Pasquale Pistorio. Infine l’ingresso di Telefonica e degli altro grandi soci che, per costituire Telco, hanno dovuto attendere mesi dall’authority brasiliana per le partecipazioni incrociate degli spagnoli in Brasile. Infine, proprio nell’autunno scorso, il faticoso bilanciamento tra i grandi soci della nuova Telco per ritrovare una sintesi sul cosiddetto ticket di presidente e amministratore delegato. Era evidente che, di fronte a un percorso tanto accidentato, la società entrasse in maggiore sofferenza, con una capitalizzazione inferiore all’indebitamento, con un piano industriale di basso profilo, tutto teso alla ristrutturazione interna e a una riduzione dei costi. Il titolo in Borsa è caduto, perdendo (anche per la crisi finanziaria internazionale) percentuali consistenti (30 per cento in due mesi) e facendo scattare le antenne della Consob.
Ma sostanzialmente Telecom Italia resta una grande azienda che ha bisogno di sinergie importanti e di soluzioni moderne per l’accesso alla rete (forse l’Open Access varato all’inizio dell’anno non è ancora sufficiente).
Il fatto che oggi l’assetto proprietario, quello dell’azionista di riferimento, abbia dimostrato di puntare su Telecom è stata un’iniezione di fiducia. Ieri Telecom ha guadagnato il 10 per cento in Borsa e oggi sta mantenendo la sua quota. La compattezza di Telco e l’impegno dei grandi soci possono aprire nuovi scenari. Probabilmente sinergie più ampie con Telefonica, abbinati a maggiore snellezza dell’organizzazione societaria. In più la possibilità, non remota, di una revisione della legge Gasparri e quindi l’ipotesi di fusioni e integrazioni con il mondo della televisione. Sarebbe il salto di qualità, il futuro per una società che sinora è stata imbrigliata nelle sue potenzialità.