Non è poi così ardito, l’utilizzo dello slogan elettorale veltroniano accostato a quello che parrebbe uno dei temi della campagna berlusconiana: il ritorno al nucleare. Dopo l’uscita del Cavaliere, non si sono registrati strali da parte del PD, ma solo distinguo: “non ora, ma lavoriamo per il nucleare di quarta generazione”.
Sarà il mio unico accenno alla cronaca politica. L’argomento infatti richiede ben altra dedizione, pacatezza e concordia “multipartisan”, che non si può triturare nel tourbillon elettoral-mediatico. Soprattutto necessita di qualche informazione di base. Sinora troppo scarsa e faziosa, per poter anche solo impostare il percorso verso una scelta consapevole.
Perché oramai di scelta si tratta: il problema energetico è finalmente emerso allo scoperto, il nucleare è un’opzione da valutare, sospinta dal costo del petrolio e dai timori sull’ambiente, ed è un costo anche il non decidere. Ecco, quindi, alcuni dati e alcune considerazioni.



La sicurezza

Il nucleare di oggi è già sicuro: si è giunti ad un equivalente di oltre 24.000 reattori-anno di esperienza operativa, gli unici incidenti rilevanti sono stati quello di Three Mile Island (1979), che non ha causato vittime e danni all’ambiente, e quello di Chernobyl (1986), doloso e catastrofico, ma irripetibile nel resto del mondo per la presenza, in tutti i reattori, di un sistema di sicurezza fondamentale quale il contenitore esterno. Se poi si considerano parametri tecnico-scientifici per la misura del rischio reale, si osserva che spesso la frequenza attesa di un evento severo e simile a quello accaduto a Three Mile Island è di 1 su 100mila o 1milione di anni, ovvero l’ordine di grandezza di un evento quale la caduta di un grande meteorite sulla terra, come accadde milioni di anni fa allorché scomparvero i dinosauri.
Ma l’alto livello di sicurezza raggiunto nel nucleare non è solo questione di tecnologia e di sistemi, è soprattutto l’effetto di una cultura della progettazione, della gestione e del controllo che mette la salvaguardia della salute degli operatori, della popolazione e dell’ambiente prima di ogni altra cosa. Nessuna o pochissime attività tecnologiche umane vengono “vivisezionate” per anni come il nucleare prima di ricevere l’approvazione e il via libera da parte delle autorità di controllo e sicurezza: dalla fase di progettazione (almeno 3 anni), alla scelta del sito (almeno 2 anni) sino alla fase di costruzione ed esercizio dell’impianto (altri 2 anni).



Il grado di sicurezza raggiunto è indirettamente testimoniato dall’aumento dei valori degli indicatori di performance dei reattori: una migliore capacità di gestione è compatibile solo con un elevato tasso di sicurezza, altrimenti il reattore viene arrestato. Nel 2006, la media mondiale di arresti forzati dei reattori è stata di 0.5 eventi/anno, con una riduzione di oltre il 70% rispetto al 1990. La mancata produzione di energia dovuta a interruzioni non pianificate è stata ridotta del 54% tra il 1990 e il 2006. Nello stesso periodo, la dose di radiazione assorbita dal personale delle centrali, già ben sotto i limiti di sicurezza, si è addirittura ridotta ad un terzo .
I reattori di nuova generazione non potranno che migliorare ulteriormente queste caratteristiche. Con l’utilizzo di sistemi di sicurezza passivi basati su leggi naturali, che non necessitano l’intervento umano o alimentazioni di energia dedicata, o seguendo la strategia Safety-by-Design, volta ad eliminare alcuni pericoli e potenziali incidenti sin dalla fase di progettazione.
E riducendo anche i rischi di proliferazione nucleare, come proposto dall’iniziativa Gnep (Global Nuclear Energy Partnership), lanciata dal Dipartimento dell’Energia (Doe) Usa e alla quale l’Italia partecipa, attraverso l’adesione siglata dal ministro Bersani. Gnep prevede di offrire tecnologia nucleare e combustibile “in leasing” ai paesi che intendono entrare nel nucleare, garantendo il recupero del combustibile esaurito e il bruciamento delle scorie nucleari, riducendone radiotossicità e tempo di vita, in apposti reattori da sviluppare e da realizzare in paesi “stabili” quali ad esempio Usa e Francia. Sempre mantenendo un forte controllo internazionale.



I costi

Sui costi di produzione dell’energia nucleare non mi dilungo, poiché sarà tema di altri contributi. Mi limito a sottolineare che in uno studio condotto nel 2005 dall’Iea (International Energy Agency, un ente non accusabile di filo-nuclearismo) e dalla Nea (Nuclear Energy Agency) , si riportano i range dei costi di produzione previsti (levelised costs), con il nucleare tra i 31 e i 53 Us$/MWh, mentre il gas è tra i 43 e i 59 Us$/MWh e il carbone tra 28 e 59 Us$/MWh. Quindi pienamente competitivo, nonostante un 10% di tasso di sconto ipotizzato per il denaro.

Le scorie

E veniamo quindi ad uno dei temi più sensibili, sul quale si addensano le accuse e le scuse per dire no al nucleare: i rifiuti. Una doverosa premessa: basta col fare sempre i primi della classe! Magari bravi (non è il nostro caso), ma spesso terribilmente antipatici. Possibile che scopriamo sempre i problemi prima degli altri, o ancor peggio a differenza degli altri? Lo è stato sulla sicurezza, nel dopo Chernobyl, e abbiamo chiuso le centrali nucleari che avevamo.
Ora, senza entrare nel merito del tema specifico, chiediamoci: chi ha già il nucleare (alias tutti i paesi più industrializzati più una buona fetta delle economie emergenti), è un fesso, oppure un assassino che mette in pericolo la vita e la salute dei propri cittadini, per generazioni? Siamo ancora una volta i più intelligenti?
Il problema è eminentemente culturale: non si accetta che la nostra azione sulla natura abbia una conseguenza (potenza e responsabilità dell’agire umano), che sia per sua natura imperfetta e che pur ci siano motivi validi (il bene comune, lo sviluppo) per continuare ad agire. Ingegnandosi per limitare i danni e per trarre il massimo vantaggio. Quindi, via libera a discariche, inceneritori, raccolta differenziata, risparmio energetico, garantendo rispetto per le persone e per l’ambiente.

Se così deve essere, allora i rifiuti nucleari sono un problema contenuto in termini di volumi e masse, che è sempre stato affrontato con grande attenzione e con grandi margini di sicurezza, dando sfoggio di tecnologia. Qualche numero per rendere l’idea: un francese, che consuma energia elettrica praticamente solo da fonte nucleare, produce ogni anno 3000 kg di rifiuti di ogni tipo, che comprendono 100 kg di rifiuti tossico-nocivi (chimici, metalli pesanti non degradabili, etc.) i quali includono 1 kg di rifiuti nucleari, dei quali solo 0.05 kg sono i rifiuti radioattivi pericolosi a lunga vita (oltre 30 anni). In definitiva, un francese nell’intera sua vita, 70 anni almeno, produce una quantità di rifiuti nucleari pericolosi la cui quantità starebbe in una sfera di vetro sul palmo di una mano. I metri cubi giornalieri di rifiuti che crescono sul ciglio delle strade campane non saranno radioattivi, ma non pongono meno problemi.

Pensare che non si possano realizzare depositi adeguati per trattare gli uni e gli altri, pare francamente improbabile nel 2008. Si dirà: ma i rifiuti nucleari permangono per migliaia di anni. Per ora è ancora così, probabilmente non lo sarà in futuro con lo sviluppo dei reattori per il bruciamento delle scorie. E teniamo pure conto che la piramide di Cheope, tecnologicamente meno sofisticata di un deposito nucleare, è pur sempre in piedi da almeno 4500 anni.
In conclusione, nessuno intende sminuire la criticità, la delicatezza, la complessità della questione nucleare. Ma la realtà urge che si prenda posizione su alcuni problemi “tecnici”, dai rifiuti convenzionali alle infrastrutture per i trasporti all’energia. Sul nucleare, si prenda una decisione politica, si muovano anche i corpi intermedi, le associazioni, gli industriali. Ma non ci si nasconda dietro a presunti problemi tecnologici insormontabili.

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