Qual è l’impatto dei costi dell’energia sulla competitività del comparto industriale italiano?

È ormai da molti anni che nel nostro mercato molti settori industriali soffrono di un gap di competitività. In una logica prospettica questo “delta” di competitività sarà ulteriormente aggravato, non solo dal particolare debito di combustibili che caratterizza il nostro Paese nella produzione di energia elettrica, ma anche da una serie di vincoli ambientali che stiamo assumendo in una logica ragionevole di sostenibilità decisa a livello europeo. Per l’Italia questi vincoli probabilmente graveranno in misura ancora maggiore rispetto ad altri Paesi, che possono comunque fare affidamento su un costo dell’energia elettrica più basso, avendo produzione nucleare in misura abbastanza rilevante. Quindi il sistema industriale vede con molto favore la ripresa di un ragionamento ben strutturato in materia di energia nucleare.
 



Quali le prossime tappe da auspicare in materia di politica energetica in Italia?

Credo che la politica energetica italiana debba guardare attentamente questo accordo che è stato fatto tra Francia ed Inghilterra, dove c’è un aspetto geopolitico europeo molto importante. Si tratta di un accordo senza precedenti sul piano di una modalità di produzione dell’energia, che per i francesi era sempre stata considerata qualcosa di molto affine alla sicurezza militare. L’elemento per cui questo accordo di cooperazione stupisce è la presenza dell’Inghilterra, che era stata il campione della sostenibilità ambientale (ricordiamoci che l’anno scorso aveva presentato il «Rapporto Stern», dando un warning molto forte a tutti i Paesi europei). Adesso l’Inghilterra è il Paese che ha deciso di investire 26 miliardi di euro per la ripresa del nucleare, affermando in modo molto categorico che è l’unico modo per poter raggiungere gli obiettivi di sostenibilità ambientale che il Paese si è dato. Si tratta dunque di un ragionamento che si può estendere a tutti i Paesi europei. Questa è oggi l’unica forma “low-carbon emission”, che consente da una parte sostenibilità ambientale maggiore, e dall’altra parte anche disponibilità di energia a prezzi più bassi.
 



L’accordo Francia-Inghilterra può dare dunque un’accelerazione verso il nucleare anche negli altri Paesi, soprattutto in Italia?

Può dare un’accelerazione solo se la nostra politica industriale saprà cogliere ed entrare in questi programmi di cooperazione, colmando quel gap di know-how che purtroppo, dal referendum del 1987, abbiamo accumulato. Dobbiamo dire tuttavia che nel nostro Paese abbiamo avuto il principale operatore di mercato che da tre anni è stato più lungimirante anche dei soggetti istituzionali e ha iniziato, attraverso una campagna di “merger & acquisition” in Europa e anche nei Paesi dell’Est, a riprendere possesso della tecnologia nucleare attraverso le acquisizioni. Quindi abbiamo un mercato che si è già mosso nella direzione del recupero del nucleare. Questo ha per altro generato anche una dinamica competitiva virtuosa sul nucleare, nel senso che anche altri soggetti, come A2A e Edison, consapevoli dell’importanza che avrà questa tecnologia nei prossimi anni, hanno riattivato tutta una serie di programmi di ricerca per recuperare questo gap. Il settore industriale sta guardando ai modelli di sviluppo del nucleare negli altri Paesi (pensiamo ad esempio al project-financing per la costruzione della nuova centrale in Finlandia), ove sostanzialmente il settore nucleare è disposto a entrare nel capitale di rischio, quindi ad acquistare capacità di produzione in una logica di integrazione verticale. In questo abbiamo visto attori principali quei settori industriali “energy-intensive”, che guarda caso soffrono molto il costo dell’energia, dovendosi confrontare con un contesto competitivo internazionale.
 



Visto il gap accumulato a partire dal 1987, quali saranno ragionevolmente i tempi per un recupero del nucleare nel nostro Paese?

Su questo punto credo che vada fatta una valutazione corretta sul piano strategico. Bisogna avere un mix di strategie. Invece di guardare alla quarta generazione del nucleare, che sarà disponibile solo tra dieci-quindici anni, sarebbe importante entrare comunque nelle centrali di terza generazione, nell’ambito di accordi bilaterali o trilaterali con altri Paesi. Quindi bisogna pensare di utilizzare anche la tecnologia già esistente. Nello steso tempo bisogna portare avanti i progetti cooperativi a livello europeo per non perdere di vista quelli che sono i nuovi sviluppi. La cosa importante è che il nostro Paese, per entrare in questi progetti ed essere credibile, dia chiaramente l’idea, anche a livello istituzionale, che sta ragionando in modo organico per lo sviluppo della tecnologia industriale. Non può essere solo la costruzione di singoli impianti: c’è un processo più ampio che prevede un ruolo molto chiaro dei soggetti privati, dei soggetti pubblici (pensiamo ai costi sociali legati allo smaltimento delle scorie), e che pone soprattutto un problema a livello di informazione.
 

Quanto è importante informare attentamente i cittadini sulla necessità del nucleare?

Sull’aspetto informazione io credo che vada aperto un capitolo ad hoc, nel senso che anche i centri di maggiore competenza devono parlare della tecnologia nucleare attraverso una dialettica comprensibile, che ponga correttamente il problema con tutti gli elementi di analisi costi-benefici. In tal modo anche i cittadini potranno comprendere le problematiche legate alla sicurezza degli approvvigionamenti e le problematiche legate al costo dell’energia rispetto alle diverse opzioni. Ci vuole infatti un mix di produzione che deve tenere all’interno, proprio in una logica di bilanciamento, sia il nucleare, sia la riduzione progressiva delle fonti di idrocarburi convenzionali, sia le fonti rinnovabili, che oggi costano tanto e soprattutto non riescono a produrre quelle quantità che sono necessarie, ma che rimangono sempre un’opzione che non deve essere mortificata e che va correttamente inquadrata in una analisi costi-benefici.
 

L’accordo nucleare tra Francia e Inghilterra inciderà anche sugli assetti geopolitica all’interno dell’Europa?

Questo accordo probabilmente rafforza un’Europa che con l’ottobre del 2008 porterà una proposta di direttiva sulla sicurezza negli approvvigionamenti energetici. È quindi un’Europa che dà anche dei segnali concreti di volersi affrancare quanto più possibile dai Paesi produttori di combustibili fossili tradizionali, rafforzando una linea di policy che porrà al centro di tutti gli Stati membri, da ottobre del 2008, il problema della sicurezza negli approvvigionamenti. È una direttiva che uscirà a brevissimo, e quindi, se accompagnata da azioni e strategie concrete, credo che tutto questo possa rafforzare la posizione dell’Europa nel contesto geopolitico internazionale.

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