La metodologia degli indici dei prezzi al consumo prevede l’aggiornamento annuale sia della lista dei prodotti per i quali vengono rilevati i prezzi, il paniere, sia della ponderazione con cui i prodotti partecipano al calcolo degli indici, i pesi, ma anche la revisione dei piani comunali di rilevazione degli esercizi commerciali da visitare nel corso dell’anno e l’eventuale introduzione di innovazioni metodologiche, tecniche e organizzative, in che misura tutto ciò può influenzare i risultati di queste statistiche? Esiste un modo per calcolare quanto le variazioni di prezzo incidono sui bilanci di spesa di diverse tipologie familiari?
Negli ultimi anni il dibattito internazionale sulla capacità degli indici dei prezzi al consumo di misurare l’inflazione ha sottolineato con forza il ruolo cruciale svolto dagli aggiornamenti del paniere, della struttura di ponderazione e del piano di campionamento degli esercizi commerciali. In pratica, si tratta di tenere il passo con l’evoluzione dei comportamenti dei consumatori, della composizione della spesa e del tessuto distributivo, aspetti che attualmente subiscono cambiamenti anche radicali in brevissimo tempo. Il non tenerne adeguatamente conto può determinare, come dimostrato da numerosi studi, distorsioni anche rilevanti nella misurazione dell’inflazione. Da questo punto di vista, posso affermare che l’Italia è, nel panorama europeo, uno dei paesi più attivi. L’aggiornamento annuale dei tre aspetti richiamati facilita inoltre l’introduzione di innovazioni, che consentono di mantenere elevata la capacità informativa di queste statistiche. Ad esempio, negli ultimi anni sono stati radicalmente cambiati i sistemi di rilevazione e calcolo dei prezzi dei servizi di telefonia, dei servizi finanziari, dei medicinali ecc. Si tratta di settori fortemente dinamici ed esposti agli effetti di fattori tecnologici, di mercato, normativi che, se non adeguatamente considerati, possono determinare una perdita di efficacia nella misurazione delle dinamiche dei prezzi. Analogamente, sono state profondamente innovate le tecniche di rilevazione sul territorio. Per quanto riguarda l’impatto dell’inflazione sui bilanci di diverse tipologie familiari, negli ultimi anni l’Istat è stato tra i pochissimi istituti nazionali di statistica ad aver affrontato questo tema. Come è noto, gli indici diffusi mensilmente fanno riferimento alla dinamica dei prezzi di tutti i prodotti acquistati annualmente da tutte le famiglie italiane. Va considerato che la struttura della spesa utilizzata per la ponderazione degli indici dei prezzi, essendo quella media registrata per il complesso delle famiglie, può essere molto distante dalle esperienze delle singole famiglie, o anche di specifiche tipologie di famiglie. Ad esempio, si consideri che in Italia, annualmente, la spesa delle famiglie per l’acquisto di mezzi di trasporto è pari a circa il doppio di quella destinata agli affitti. E’ evidente che, se si considerassero solo le famiglie che vivono in un’abitazione in affitto, la struttura dei consumi sarebbe enormemente diversa da quella media nazionale, e ciò vale anche per ulteriori tipologie di famiglie (pensionati ecc.). Allo scopo di rispondere alle richieste degli utilizzatori, il 20 febbraio del 2007 l’Istat ha pubblicato indici sperimentali dei prezzi al consumo differenziati per tipologie di famiglie, utilizzando gli stessi indici elementari dei prezzi al consumo costruiti per il calcolo dell’inflazione, ma sintetizzandoli utilizzando differenti strutture dei pesi, basate sulla composizione della loro spesa per il consumo. Le sottopopolazioni considerate, significativamente differenti tra di loro in quanto a struttura della spesa per consumi, erano costituite dalle famiglie che vivono in affitto o subaffitto, dalle famiglie di pensionati, dalle famiglie con basso livello di spesa per consumi. Per quanto riguarda i risultati del calcolo, da un lato le tendenze di fondo riscontrate fra dicembre 2000 e dicembre 2006 segnalano che la dinamica media dei prezzi subita dai diversi gruppi di famiglie non risulta sostanzialmente differente; d’altra parte, a questa omogeneità di fondo si associano in alcuni casi andamenti annuali e infrannuali dei diversi indici significativamente differenziati. Nel 2006 l’inflazione ha colpito soprattutto le famiglie con bassi livelli di consumo, mentre nel 2004 e nel 2005 il maggiore impatto si è evidenziato su quelle che vivono in affitto.
Spesso i consumatori hanno l’impressione che l’aumento dei prezzi sia molto superiore a quello rilevato dall’Istat. In che misura l’introduzione dell’euro ha influenzato i risultati delle statistiche sui prezzi? Può essere questa l’origine del gap tra la percezione dei prezzi da parte delle famiglie e i prezzi rilevati?
L’introduzione dell’euro ha certamente determinato un elemento di forte discontinuità nelle esperienze di acquisto delle famiglie. Queste difficoltà sono state registrate in tutti i paesi europei, dove gli indicatori dell’inflazione percepita, basata su sondaggi di tipo qualitativo condotti dalla Commissione europea, hanno mostrato un brusco aumento proprio in corrispondenza del changeover. A fronte di questo fenomeno, la misurazione dell’inflazione da parte degli istituti di statistica non ha registrato particolari difficoltà legate all’introduzione dell’euro. Il dibattito sull’apertura di un gap rilevante tra le percezioni dei consumatori e le misurazioni ufficiali dell’inflazione si è arricchito negli ultimi anni di nuove evidenze, basate su indagini e studi condotti soprattutto dalla Banca centrale europea e dalla Commissione europea. Tra i molti aspetti importanti, a mio avviso, un ruolo particolare è quello relativo all’andamento dei prezzi dei prodotti acquistati frequentemente dai consumatori. Nell’ipotesi che questi costruiscano le proprie percezioni sulle effettive esperienze di acquisto, appare ragionevole supporre che un’eventuale crescita dei prezzi dei prodotti ad acquisto frequente apprezzabilmente superiore a quella relativa al complesso dei prodotti (non solo pane o caffè al bar, ma anche computer o automobili) possa contribuire a spiegare la divaricazione tra inflazione effettiva e inflazione percepita. E’ proprio a partire da questa considerazione che l’Istat, da gennaio 2008, produce e diffonde mensilmente indici dei prezzi dei prodotti distinti in base alla frequenza di acquisto. In pratica, sono stati elaborati tre differenti indici, calcolati su altrettanti raggruppamenti di prodotti classificati in funzione della modalità “alta”, “media” e “bassa” della loro frequenza di acquisto. I criteri di classificazione utilizzati in questa elaborazione seguono quelli già adottati in casi di studio analoghi, realizzati in ambito internazionale. I risultati dell’analisi evidenziano, per gli anni tra il 2001 e il 2008, una strutturale differenza tra le dinamiche tendenziali dei prezzi dei tre indicatori considerati. In particolare, gli indici dei prezzi dei prodotti ad alta frequenza di acquisto, il cui peso all’interno del paniere dell’indice dei prezzi al consumo ammonta nel 2008 al 39 per cento, hanno fatto registrare un tasso annuo di crescita sistematicamente superiore al tasso medio d’inflazione. A febbraio 2008, a fronte di un tasso d’inflazione del 2,9%, la crescita dei prezzi dei prodotti acquistati frequentemente si è attestata al 5%.
La statistica ha non solo scopi descrittivi ma anche decisionali. In che misura l’ISTAT indaga sulle cause delle variazioni dei prezzi per fornire agli organi di governo centrali e locali e alle associazioni di categoria gli strumenti per intervenire su questo tema di importanza cruciale per le famiglie?
Oltre al suo ruolo informativo “di base”, l’Istat supporta con dati e analisi il sistema di osservatori dei prezzi consolidatosi in questi anni a livello sia nazionale sia locale.
Ma quello che più mi preme sottolineare è che l’Istat ha deciso, in primo luogo, di mettere a disposizione dei cittadini, delle istituzioni e degli operatori economici, un’informazione statistica completa ed articolata della dinamica dei prezzi, basata su dati e analisi tempestivi e facilmente fruibili. Per quanto riguarda gli indici dei prezzi al consumo, a fianco dell’indice generale e degli indici relativi ai principali settori (alimentari, trasporti, sanità ecc.) e alle singole voci di prodotto (ad esempio, pane, latte, benzina ecc.), vengono diffusi e commentati indici esplicitamente orientati all’analisi economica dell’inflazione, che dovrebbero rappresentare strumenti di orientamento per il dibattito sulle cause dell’aumento dei prezzi. Ad esempio, lo studio dell’andamento dei prezzi dei servizi, distinti secondo il grado di regolazione (servizi di mercato, servizi a regolamentazione nazionale, servizi a regolamentazione locale) può essere estremamente utile per valutare il ruolo delle dinamiche di mercato e quello del decisore pubblico. Su un piano più generale, la possibilità di disporre di indici dei prezzi dei prodotti riferiti allo stadio dell’importazione dall’estero, alla produzione agricola nazionale, alla produzione industriale nazionale e alla fase finale del consumo consente di delineare un quadro coerente della formazione delle pressioni inflazionistiche. Ciò può risultare di estrema importanza, ad esempio, in fasi, come quella attuale, caratterizzate da forti pressioni inflazionistiche di origine esterna nel comparto energetico e in quello alimentare.