Durante la settimana della riunione del Financial Stability Forum a Washington, il Fondo Monetario Internazionale ha fatto circolare stime secondo le quali le perdite connesse alla crisi finanziaria americana potrebbero arrivare a mille miliardi di dollari. La cifra è sconvolgente, superiore alla somma delle perdite subite da banche e istituzioni finanziarie giapponesi durante la lunga crisi degli anni ‘90, perdite quantificate in circa 750 miliardi di dollari.
Mettendo in relazione l’importo delle perdite al prodotto interno lordo americano, si ottiene una percentuale di tutto rispetto, circa il 7%.
Questa stima potrebbe essere pessimistica. Di recente, quattro studiosi americani hanno cercato di quantificare le perdite relative al mercato dei subprime ipotizzando che la percentuale di mancati pagamenti sia simile a quella che ha caratterizzato le crisi immobiliari che si sono verificate in California, Massachusetts, e Texas durante gli anni ‘80 e ‘90. In quei casi il prezzo nominale delle case si ridusse tra il 10% ed il 15%, e quegli Stati subirono recessioni non piccole, cosa che concorse ad aumentare i casi di insolvenza. Il punto di riferimento consente quindi un paragone serio. Tenendo conto della grande liberalità con cui sono stati concessi mutui negli ultimi anni, elemento che ovviamente tende ad aumentare i mancati pagamenti, il risultato ottenuto è che le perdite potrebbero essere nell’ordine dei 400 miliardi di dollari. Un problema grave, ma forse non una catastrofe.
Dal punto di vista dell’economia reale, la situazione, almeno nel breve periodo, è tuttavia complicato dal cosiddetto “effetto leva”. Consideriamo una banca con un capitale di 10, che si indebiti – ad esempio raccogliendo depositi – per 90, ed eroghi credito per 100. In questo caso la banca ha una “leva” di 10, valore dato dal rapporto tra i crediti concessi ed il valore del capitale. Se il valore del capitale della banca, in quanto implicata nella crisi dei mutui o semplicemente per via dell’indebolimento del mercato azionario, si riduce a 8, e se la banca vuole (o deve) mantenere un rapporto costante tra valore del capitale, e crediti, ecco che – con una leva di 10 – i prestiti erogati devono scendere a 80.
Le istituzioni finanziarie diventano quindi estremamente restie a convogliare credito verso famiglie ed imprese, con effetti ovvi di rallentamento dell’attività economica. Dobbiamo quindi aspettarci una recessione, anche se – sperabilmente – non un financial meltdown.
Questo breve riassunto della situazione permette di valutare meglio le decisioni prese al Financial Stability Forum.
A mio avviso, i punti principali sono due. Innanzitutto, ci si muove verso la fissazione (entro l’anno) di requisiti patrimoniali più elevati, soprattutto per i prodotti di credito più rischiosi. Ciò non solo riduce il rischio di fallimenti bancari, ma implica la diminuzione della leva, e quindi di effetti negativi che partendo dal sistema bancario influenzino imprese e famiglie. Si tratta di una medicina potenzialmente amara: nel caso, le banche dovranno attrarre più capitale di rischio – che va remunerato adeguatamente – ed inoltre la loro proprietà potrà risultare “diluita”, fatto che non può piacere ai gruppi di controllo azionario. La strada è però giusta, anche se non va percorsa troppo rapidamente: il sistema bancario deve avere tempo per adeguarsi, evitando che – per un dato ammontare di capitale – il credito si riduca, rallentando l’attività economica.
La seconda questione rilevante è quella della trasparenza: gli organismi internazionali preposti dovranno favorire la diffusione delle informazioni e la loro standardizzazione, in modo che le informazioni stesse siano più facilmente interpretabili. È appena il caso di ricordare che, a partire dal luglio dello scorso anno, più volte i mercati finanziari hanno sfiorato il panico. In buona misura, oltre che dalla situazione difficile nel settore finanziario, la tensione sui mercati è stata indotta dalla carenza di informazioni certe sul valore dei titoli (e dei loro emittenti).
Una parte non piccola del sistema finanziario, soprattutto negli Stati Uniti, ha di recente perso il contatto con il suo scopo principale, cioè intermediare il credito per il resto dell’economia: regole più stringenti lo aiuteranno a non commettere di nuovo troppo presto gli stessi errori.





[1] Consultabile all’indirizzo http://www.chicagogsb.edu/usmpf/docs/usmpf2008confdraft.pdf

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