Il continuo aumento della domanda di energia su scala globale rende la politica della produzione e dell’utilizzo delle varie fonti energetiche un problema planetario ed impone un’analisi accurata delle disponibilità e delle tecnologie utilizzabili. È dunque il “valore assoluto” dell’energia disponibile e utilizzabile che conta e conterà sempre di più, anche in relazione non solo con lo sviluppo inarrestabile delle “economie emergenti” (Cina, India, Sud America ad esempio), ma anche con i miglioramenti d’uso quali l’efficienza energetica (che non deve essere confusa con il risparmio) e che non può che far crescere la domanda per ragioni qualitative oltre che quantitative (esempio eclatante è stata l’elettricità). D’altra parte la questione ambientale, abbastanza trascurata durante le prime fasi dello sviluppo industriale, si è andata via via affermando come elemento, oltre che culturale, socio-politico rilevante fino a diventare non solo e non più uno strumento di controllo e di bilanciamento ma addirittura un “fattore condizionante” e, sotto certi aspetti, pesantemente frenante e perfino controproducente ai fini di un corretto equilibrio. Posizioni eccessivamente allarmiste e decisioni affrettate spesso legate ad un “ecobusiness” poco rassicurante sia socialmente che culturalmente, rendono il problema della ricerca di una corretta e realistica strategia energetica globale, inutilmente drammatico. Ne è esempio il protocollo di Kyoto, che si è rivelato uno strumento del tutto inefficace ed economicamente dannoso. Le ultime fughe in avanti enunciate alla conferenza di Bali ne sono una prova. In questo contesto la “questione energetica” non può essere affrontata con visioni illusorie e non corrispondenti ad una corretta analisi delle fonti energetiche in gioco. Pensare di ridurre drasticamente la produzione ed i consumi delle fonti fossili entro la metà del secolo attuale, oltre che irrealistico, diventa addirittura controproducente, qualora non solo si continuasse a discriminare l’opzione nucleare, l’unica competitiva su larga scala, ma si ricorresse ad una forzata e costosissima marcia verso soluzioni quali quelle delle fonti rinnovabili (a parte la fonte idroelettrica) che non saranno mai competitive a tale scala. Pertanto, sia dal punto di vista economico che da quello ambientale, il ricorso all’energia nucleare non può essere considerato un’opzione ma una necessità. Essa si giustifica per impellenti ragioni legate ad un corretto e realistico mix energetico basato su un ragionevole rapporto costi/benefici.



Un dato reale attuale per esempio è che i costi complessivi di un kWh di energia elettrica vanno da 3.2 a 4.6 centesimi di euro per il nucleare, da 4.3 a 6 centesimi per il gas naturale (ciclo combinato) che fa da riferimento anche per il petrolio e il carbone, mentre i costi per l’eolico sono 4 volte maggiori e quelli per il fotovoltaico 10 volte. Se si aggiunge che il nucleare, come le energie rinnovabili, è completamente privo di emissioni, bisognerebbe concludere che, ormai, non c’è più discussione non tanto sull’opportunità quanto sulla necessità dell’energia elettronucleare. Del resto è questa la ragione principale che è sottintesa quando ormai si parla apertamente, in tutte le lingue, di “rinascimento nucleare” anche da parte di chi, fino a ieri, era contrario. Ma ciò non implica, purtroppo e soprattutto nel nostro paese, che vi siano chiare indicazioni di una vera e propria politica energetica basata consistentemente sull’energia nucleare. Fattori positivi sono certamente i recenti sviluppi su scala europea e mondiale che, del resto, non fanno altro che contribuire a sfatare le leggende mass-mediatiche sul declino del nucleare da Chernobyl in poi. In effetti, dal 1986 al 2007 la potenza elettronucleare installata a livello mondiale è passata da 250 a 371 GW con un aumento di circa il 49% e la produzione globale è passata a 2658 TWh con un aumento rispetto al 1986 del 65% (439 reattori), con un contributo del 16% su scala mondiale, del 21% nei paesi dell’Ocse e del 33% in Europa (prima fonte per la produzione di energia elettrica davanti al carbone). È quindi del tutto inconsistente la teoria del declino o della frenata dell’espansione dell’energia nucleare da fissione. Ne sono ulteriore prova i 33 reattori nucleari in costruzione nel mondo (pari a 27GW); i 94 in progetto (102 GW) e i 233 in fase di pianificazione (109 GW). Gli esempi più significativi sono dati, oltre che dalle imponenti scelte strategiche dei grandi paesi asiatici, a partire dal Giappone, ma ormai anche la Cina e l’India (vedansi gli accordi con Francia e Stati Uniti), dalla vera e propria offerta di mercato della Francia (Paesi Arabi, accordo con il Regno Unito) e dal riposizionamento degli Stati Uniti su un rapido ulteriore sviluppo del già consistente parco nucleare.



Il fatto che il Parlamento europeo di fronte ad una scelta politica energetico-ambientale di difficile soluzione (e, a mio parere, alquanto problematica) dell’Ue (il famoso obiettivo 20-20-20 per il 2020) debba decisamente prendere posizione in favore dell’opzione nucleare, è altamente significativo. È d’altra parte necessario chiarire che ciò è già possibile con l’avvento dei reattori di III generazione (come l’EPR franco-tedesco e l’AP1000 americano), i quali sono già fortemente innovativi permettendo un’alta disponibilità (90%) e una lunga vita utile (60 anni, del resto già ottenuti in molti dei reattori in esercizio), potenziando quindi la produzione e l’utilizzazione su larga scala del carico di base dell’energia elettrica. Essi presentano inoltre dispositivi di sicurezza “intrinseca e/o passiva”e una grande flessibilità nella composizione del combustibile (uranio naturale e a vari arricchimenti, miscele di uranio/plutonio, questo anche proveniente dallo smantellamento di armi nucleari, miscele di uranio/torio) e per la sua alta “utilizzabilità”, il che distanzia nel tempo la ricarica oltre ad accrescere la durata delle riserve. La ricerca su reattori di questo tipo vede già impegnati gruppi e competenze italiani, il che sfata la leggenda relativa alle capacità industriali e tecnico-scientifiche del nostro paese per rientrare nel novero dei produttori di energia elettronucleare. Che l’Italia, malgrado l’insensata uscita dal nucleare (quello prodotto ma non quello utilizzato, visto che il 16% della nostra energia elettrica è “nucleare di importazione”) pagata del resto a caro prezzo, sia ancora in grado di rientrare è dimostrato dalla presenza di Enel, Ansaldo-Camozzi, Sogin e di Centri universitari nel mercato e nella ricerca internazionale. È questione di volontà politica e ci auguriamo che ciò possa avvenire, visti alcuni segnali promettenti.



Infine, la partenza dei progetti di IV generazione, cui si è finalmente associato anche il nostro paese, costituirà un ulteriore progresso nell’utilizzo del combustibile, nel basso costo del ciclo di vita, nella sicurezza e affidabilità rispetto alla proliferazione, nella resistenza e protezione fisica da attacchi terroristici e, soprattutto, nella minimizzazione dei residui radioattivi. Va comunque segnalato che già oggi le soluzioni tecniche dal confinamento in depositi sicuri alla trasmutazione dei residui a lunga vita sono già ampiamente dimostrate. Ciò tuttavia non può costituire un pretesto inaccettabile, per il nostro paese, per rinviare una decisione politica ormai ineluttabile che non ci riduca ad una nicchia autarchica priva della produzione nazionale di energia elettro-nucleare con illusorie fughe in avanti quali l’attesa inerte dei risultati altrui sulle ultime o ultimissime generazioni di reattori o la litania del tempo richiesto per dotarsi di nuovi impianti nucleari. I tempi tecnici sono di non più di cinque anni. Sono i tempi burocratici e politici che richiedono una revisione che faccia uscire il nostro paese dallo stato anomalo in cui si trova rispetto ai paesi più avanzati e nell’ambito della stessa Unione europea. È questa una sfida che la prossima legislatura dovrà accettare e cercare di vincere per il bene del paese.

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