Nelle ultime campagne elettorali, la questione delle tasse è stata, più di altre, al centro del dibattito. L’enfasi è stata probabilmente eccessiva, soprattutto se si pensa che le proposte si sono limitate ad aspetti consistenti per le tasche degli italiani, ma ultimamente marginali in questa complessa problematica (bollo auto, Ici, ecc.).
La fiscalità è lo strumento necessario di recupero delle risorse da spendere per fornire servizi, ridurre il divario tra fasce di popolazione, incentivare determinati comportamenti (ad esempio creare nuove imprese, utilizzare auto ecologiche, proseguire negli studi).
Compito della politica è definire l’entità, la modalità e la priorità della spesa ovvero la ripartizione dei costi tra i partecipanti alla comunità.
In questo contesto due sono quindi gli aspetti di fondo: per quali fini si chiedono risorse da spendere e, secondo, come fare in modo che tutti contribuiscano.
Non è possibile scindere i due aspetti perché, ragionevolmente, diventa più complicato far partecipare a qualcosa che non si condivide.
Sul primo aspetto, in particolare sugli obiettivi di welfare, rimandiamo all’articolo di Pierpaolo Donati.
Per quanto riguarda il secondo, il principio, costituzionalmente rilevante in Italia, è che ogni cittadino è tenuto a contribuire secondo la propria capacità contributiva.
Questa accezione si fonda sul concetto che l’elemento rilevante è la capacità di misurare il processo di formazione del reddito, secondo i principi della certezza dei dati, della personalizzazione del reddito prodotto e della trasparenza dei dati analizzati.



Con specifico riferimento alle attività produttive e d’impresa, base rilevante di tale impostazione è che, per gli imprenditori, i professionisti, le società, gli enti in genere, il reddito da rilevare viene desunto dal bilancio che i contribuenti sono tenuti a redigere. Tali bilanci sottostanno alle regole della contabilità, così come previsto dal Codice Civile.
Si è realizzato, con estrema chiarezza, il rapporto in essere tra norme civilistiche e norme fiscali. Fino a prova di falso, il bilancio, redatto dal contribuente, è valido ai fini civilistici e non può essere disatteso dall’Amministrazione Finanziaria.
Questa impostazione, assolutamente legittima e coerente, ha evidenziato nei fatti una difficile azione dell’Amministrazione Finanziaria in tema di lotta all’evasione e all’elusione fiscale. Tale presta d’atto ha indotto in legislatore a dettare norme che disattivassero le risultanze del bilancio redatto dalle norme civilistiche, fino ad addivenire all’individuazione del c.d. “bilancio fiscale”; questo fenomeno va unito a quello del sostanziale allargamento della base imponibile delle imposte sui redditi, per cui il contribuente si trova a pagare imposte sul reddito in percentuali ben superiori al 50% dell’utile civilistico prodotto e, a volte, sconta ingenti imposte anche in situazioni di perdita civilistica (soprattutto a causa dell’Irap).



Il Legislatore, sotto la pressione del Ministero dell’Economia, ha inteso dissociarsi sempre di più dal bilancio fiscale e dai criteri di valutazione, sostanzialmente inalterati, dall’entrata in vigore del Codice Civile, introducendo norme che, “rettificando” i dati civilisticamente rilevanti, portassero concettualmente a fare accettar l’istituto giuridico del Bilancio fiscale.
Le ultime Leggi Finanziarie introducono annualmente delle sostanziali modifiche ai criteri di valutazione delle poste fiscali e tali modifiche debbono essere interpretate dall’Amministrazione Finanziaria come strumenti necessari per ridurre ed eliminare l’evasione fiscale.
Altro strumento adottato dal Legislatore in tema alla lotta all’evasione ed elusione fiscale è il tentativo di “catastalizzare” il reddito dei contribuenti.
Ad esempio, il diffuso ricorso agli studi di settore come strumento di accertamento del reddito dei contribuenti di piccole dimensioni ha sortito sicuramente un incremento dell’efficacia dell’azione di verifica dell’Amministrazione Finanziaria, ma ha anche generato nei numerosi contribuenti, onesti ma con redditi non congrui secondo gli studi, la disarmante sensazione di cittadini laboriosi di uno Stato patrigno. Questo, soprattutto, quando il Governo uscente ha rigorosamente inasprito gli studi, senza alcun legame con un’evoluzione dei dati economici sottesi all’elaborazione degli stessi e, in assenza delle previste concertazioni con le categorie economiche, una condivisione dello scopo.



Tenuto conto dell’enorme aumento dei soggetti rilevanti ai fini fiscali (il mondo dei titolari di Partite Iva), dell’emergere di una cultura liberista (la dichiarazione dei redditi è veritiera, fino a prova di falso), del ridotto numero degli organici assegnati al comparto lotta all’evasione, il Legislatore ha disatteso i dati contabili per affidarsi a “formule matematiche” con cui, sulla base di dati obiettivi (costo del personale, utenze, metratura dei locali utilizzati) si potesse addivenire alla determinazione del “reddito fiscalmente rilevante”.
La prima osservazione è che tale reddito, che può essere individuato come “il reddito giusto”, può apparire in palese contrasto con la norma costituzionale della capacità contributiva, in quanto non tiene conto delle cause ostative o dei fatti oggettivamente personali, che possono discostare il reddito effettivo dal reddito “giusto”.
Di fatto, si realizza una sorta di inversione dell’onere della prova per cui il reddito da assegnare è quello definito dalla catastalizzazione del reddito; tocca al contribuente dimostrare, con prove oggettive, quali sono i motivi che hanno prodotto uno scostamento dallo stesso.
Inoltre questa “catastalizzazione” nulla può nei confronti della categoria degli evasori totali, cui si dovrebbe invero riferire lo sforzo maggiore sul campo della lotta all’evasione, che invece rimangono praticamente illesi a causa della reticenza dell’Amministrazione Finanziaria ad uscire dagli uffici per profondere fattivi interventi di verifica sul campo. Questa attività è oggi quasi unico predominio della Guardia di Finanza, la quale dovrebbe invece essere dedicata ad altri compiti.

L’evoluzione delle norme sull’accertamento fiscale – DPR 600/73 – impone alcune riflessioni sulla definizione degli strumenti che legittimamente l’Amministrazione Finanziaria può e deve adottare.
La prima riguarda la formazione del personale addetto alle verifiche ispettive, ed in questo campo si deve completare l’evoluzione, già in atto, che vede il verificatore un esperto del campo fiscale e non un “censore” dell’attività dell’imprenditore.
Altro intervento riguarda la creazione dell’Avvocatura di Stato, Sezione fiscale, che sappia rappresentare, in sede di contenzioso, la volontà dell’Amministrazione Finanziaria con decisioni eterogenee, mentre attualmente sono in contrasto tra loro.
Occorre, inoltre, una chiarezza nelle Leggi fiscali, in quanto è palese che la complessità del comparto fiscale favorisce il comportamento non corretto.
È attraverso una definizione condivisa degli obiettivi e la semplificazione della norme fiscali che si può ottenere un cambio di mentalità per addivenire ad un vero “patto sociale” con il contribuente, ed eliminare il concetto ora esistente che cittadino e Stato sono, in questo campo, conflittualmente contrapposti.

(Foto: Imagoeconomica)