Più di cento milioni di cittadini nell’Unione europea a 27 sono impegnati in attività di volontariato. Lo ha ricordato l’eurodeputata Marian Harkin nella seduta di lunedì a Strasburgo in qualità di relatrice della proposta di risoluzione del Parlamento europeo “sul contributo del volontariato alla coesione economica e sociale”. Nella stessa relazione, viene richiamato uno studio dell’Università John Hopkins sulla società civile e il volontariato pubblicata il 25 settembre 2007 da cui si ricava che in molti Paesi il contributo delle istituzioni senza fini di lucro (Npi) al prodotto interno lordo è quasi pari a quello del settore edile e finanziario e doppio rispetto a quello dei servizi di pubblica utilità. Corrisponde, cioè, al 5-7% del Pil dei Paesi esaminati. Questi risultati emergono dai dati forniti dalle agenzie statistiche ufficiali di otto Paesi: Australia, Belgio, Canada, Repubblica Ceca, Francia, Giappone, Nuova Zelanda e Stati Uniti.



Tra i diversi punti della risoluzione, oltre a quelli di natura strategica (“Il Parlamento europeo incoraggia gli Stati membri e le autorità locali a riconoscere il valore del volontariato per la promozione della coesione sociale ed economica”), vi sono anche indicazioni pratiche, quali l’esenzione delle organizzazioni del volontariato dall’Iva e la raccomandazione di dichiarare il 2011 “Anno europeo del volontariato”. Nelle motivazioni della risoluzione si afferma inoltre che “il volontariato può essere visto come un rimedio contro alcuni degli effetti negativi della globalizzazione, grazia al quale i cittadini non sono semplici consumatori ma fungono da catalizzatori del cambiamento”.



In moltissimi casi, il volontariato svolge un ruolo significativo nella creazione di capitale sociale e nella riduzione di disuguaglianze economiche. In particolare, uno studio sul capitale sociale, citato nel documento, dimostra una correlazione positiva tra capitale sociale in termini di volontariato attivo e crescita economica regionale. Il contributo del volontariato alla coesione economica è dimostrato dal miglioramento dell’“occupabilità” dei volontari, che acquisiscono una gamma molto ampia di capacità e competenze. «Sono tutte cose vere – riconosce Enrico Tiozzo Bon, presidente della Federazione Centri di solidarietà (Cds), associazione di promozione sociale iscritta al registro nazionale previsto dalla legge 383/2000 -. Però il volontariato per sua natura è uno strumento agile. Gestire, invece, fondi europei non è agile». Il riferimento è alle risorse previste dalla medesima risoluzione Ue per sostenere concretamente il volontariato: fondo europeo di sviluppo regionale, fondo sociale europeo e fondo di coesione. «È difficile che delle associazioni di volontariato – spiega Tiozzo – arrivino a gestire in maniera organica, coordinata ed efficiente fondi di così difficile gestione che, non a caso, sono spesso intercettati dal mondo della formazione o da quello della cooperazione, cioè da organismi più strutturati che appartengono al più vasto mondo del terzo settore. E questo perché quanto più complessa è la gestione dei fondi, tanto più c’è bisogno di persone che lo facciano come occupazione, in maniera retribuita».



A quali risorse attinge, allora il volontariato? «In Italia – continua il presidente della Federazione Cds – utilizza i fondi delle fondazioni di origine bancaria o quelli dei Centri servizi per il volontariato. Il volontariato più strutturato collabora con i ministeri. Quasi mai arriva al livello europeo». E, quindi, la risoluzione europea sul contributo del volontariato rischia di essere un programma pieno di buone intenzioni, ma senza gambe per essere attuato nei Paesi membri? «Le dichiarazioni della risoluzione hanno valore se sono in un’ottica sussidiaria. Se, invece, servono ad aiutare i Paesi membri a individuare dei settori “scoperti” nei quali “usare” il volontariato, può accadere quello che tante volte succede in Italia in cui il volontariato è comodo perché non costa niente. Lo Stato, o l’ente pubblico, decide i bisogni su cui intervenire e poi se ci sono i soldi, bene, se non ci sono, si affida al volontariato». Alla base di questo problema, secondo il presidente della Federazione, c’è una confusione – forse anche in sede europea – «tra il volontariato e le attività che fanno i volontari. Il volontariato è un gesto educativo della persona, al di là della specifica attività (minori, anziani, disabili, ecc.). Spesso non si valorizza la mossa libera e gratuita di una persona, del volontario, appunto, ma si vede il risultato finale (le persone assistite) che è garantito dal lavoro organico e sistematico di un’opera che, in genere, si sostiene grazie a una programmazione progettuale. Quest’ultima, per la sua complessità, deve avvalersi di personale retribuito. Oggi, si fa confusione tra questi due aspetti, tanto che l’azione progettuale ha preso il sopravvento a discapito della valorizzazione del volontariato vero e proprio».

(Carmelo Greco)

(Foto Imagoeconomica)